Altro che piano di rilancio e “persone oltre le cose” come recita il noto spot televisivo. Per far fruttare supermercati e ipermercati Auchan e Sma, Conad non può far altro che ristrutturare. E cioè chiudere o vendere punti vendita, eliminare le attività diverse dall’alimentare, ridurre il numero di dipendenti, chiedere sconti ai fornitori su vecchie fatture e affittare gli immobili. Per i lavoratori si prospetta un quadro a tinte fosche su cui potrebbero arrivare oggi nuovi dettagli dall’incontro previsto tra sindacati e azienda al ministero dello sviluppo economico. La tensione sul dossier è decisamente alta. E di certo la dice lunga il fatto che, proprio nel giorno del confronto, il sindacato abbia proclamato lo sciopero chiamando a raccolta non solo i lavoratori della grande distribuzione Auchan e Conad, ma anche quelli dei servizi, della vigilanza e della logistica legati ai marchi coinvolti. “Non potrebbe essere altrimenti. Questa è la più grande operazione mai realizzata nel mondo della grande distribuzione italiana”, spiega il segretario della Filcams Cgil, Alessio Di Labio.
Diciottomila i lavoratori coinvolti. Senza contare indotto e fornitori. Ma per Conad è tutto sotto controllo, rassicura la società interpellata dal Fatto , spiegando che “la trattativa sindacale è giunta a un punto nodale e che il piano industriale sarà illustrato nel dettaglio in occasione dell’incontro in programma al ministero”. La sensazione degli altri partecipanti al tavolo, però, è che “Conad non voglia una concertazione nazionale, ma sia invece intenzionata a procedere con gli esuberi affidandosi alle realtà locali”, replica Stefano Capello, coordinatore Cub Piemonte. Come è possibile? Conad, acronimo di Consorzio Nazionale Dettaglianti, è un aggregato di sette cooperative che fanno capo a circa 2.300 soci-imprenditori, i quali a loro volta gestiscono al massimo tre punti vendita a testa. “Di fatto è come se ragionassimo di un insieme di 55mila dipendenti, ma legati ognuno al proprio punto vendita da ragioni sociali diverse. In questo mondo c’è di tutto. Chi applica il contratto e chi no. Chi paga gli straordinari e chi non ci pensa nemmeno”, prosegue il sindacalista Di Labio.
Per capire meglio questa delicata vertenza, bisogna fare un passo indietro. L’intera storia nasce dalle difficoltà di Auchan in Italia. Sbarcato nel 1989 e cresciuto comprando il settore alimentare di Rinascente dalla Ifil degli Agnelli, il gruppo francese non riesce a trovare la quadra sul business degli ipermercati: ancora oggi la filiale italiana perde circa un milione al giorno. Così, la scorsa primavera, il numero uno di Auchan, Edgar Bonte, decide di darci un taglio dopo 440 milioni di svalutazioni registrate nel bilancio 2018. Il 14 maggio invia una lettera ai dipendenti italiani per annunciare la cessione dei punti vendita Auchan e Sma alla Bdc, società partecipata al 51% da Conad e al 49% dalla lussemburghese Pop 18 Sarl che appartiene al gruppo Wrm di Raffaele Mincione. Si tratta dell’immobiliarista di Pomezia, noto alle cronache per essere uno dei maggiori soci della Fiber 4.0, la finanziaria che ha chiesto un parere legale all’allora avvocato Giuseppe Conte sull’uso dei poteri speciali del governo (golden power) per la società di telecomunicazioni Retelit. Poteri poi esercitati dall’esecutivo quando Conte è diventato premier.
“Dopo anni di crisi, su Auchan viene fatta un’operazione lampo. All’improvviso, dopo un po’ di indiscrezioni, viene fuori una nota stringata con cui si annuncia la cessione”, racconta Di Labio. Dal canto suo, con questa mossa Conad prende due piccioni con una fava: da un lato toglie di mezzo i rivali francesi in Italia, dall’altro strappa alla Coop il primato nazionale della grande distribuzione alimentare. A conti fatti, la somma del giro d’affari di Auchan, Sma e Conad sfiora i 17 miliardi contro i 14,8 di Coop. Ma il meglio è che l’intera operazione viene conclusa senza spendere un euro: pur di disfarsi della patata bollente, senza gestire gli esuberi, Auchan è disposta a pagare. Secondo il settimanale francese Challenges dello scorso 14 maggio, la vendita sarebbe infatti costata ai francesi circa un miliardo.
Un colpo da maestro per l’amministratore delegato di Conad, Francesco Pugliese, manager tarantino che siede anche nel consiglio di presidenza di Legacoop, il cuore delle cooperazione rossa di cui è stato presidente anche l’ex ministro Giuliano Poletti. Quanto al coinvolgimento di Mincione, l’impressione è che il finanziere, fra i protagonisti anche del caso Carige, ma soprattutto conoscitore del business del mattone, possa contribuire a valorizzare immobili e terreni che nei bilanci 2018 di Auchan e Sma valgono quasi 800 milioni. Anche perché probabilmente, man mano che la riorganizzazione andrà avanti, ci saranno spazi commerciali da affittare o da vendere.
È a questo punto della storia che iniziano i guai per i lavoratori. Lo scorso 23 settembre, nel primo incontro al ministero, Conad si presenta con un piano per appena 109 punti vendita, i più redditizi. Maledettamente pochi rispetto ai 1.600 punti vendita di vari marchi, principalmente Auchan e Sma. Il sindacato, Ugl escluso, rompe le trattative e proclama lo sciopero. “Il timore fondato è che possano esserci migliaia di esuberi senza un coordinamento nazionale”, conclude Di Labio. “Speriamo di non rivedere episodi come i licenziamenti via Whatsapp messi a segno in punti vendita a marchio Carrefour, realizzati però dai concessionari locali”. Roba da multinazionali. O forse no.