L’avvocato Michele Capano, 45 anni, è un personaggio importante nell’universo radicale. Eletto nel Comitato nazionale 2019 dei Radicali Italiani (quelli di Emma Bonino con segretario Massimiliano Iervolino), Capano è stato per due anni, dal 2016, tesoriere del partito di Bonino ma è anche dirigente dell’altro gruppo, il Partito Radicale di Maurizio Turco. Nel luglio scorso è stato eletto infatti nel Consiglio Generale del Partito Radicale. Si è sempre impegnato sul fronte dei diritti dei detenuti, soprattutto malati. Proprio Il Fatto nel 2012 diede spazio alla sua vittoriosa battaglia per ottenere la condanna dei medici di un ospedale psichiatrico per sequestro e morte di un paziente sottoposto a Tso. Basta fare una ricerca sul Web per vedere decine di suoi interventi contro l’ergastolo ostativo e l’ergastolo bianco. In testa figura il duello con Rita dalla Chiesa su La7 a Tagadà. La figlia del generale ucciso nel 1982 gli ricordava i corpi crivellati dei genitori e concludeva tra gli applausi: “Riina è stato condannato all’ergastolo e ergastolo sia”.
Al Fatto che lo ha sentito nel giorno del fermo di Antonino Nicosia per mafia, Capano ha raccontato: “L’ho conosciuto nel 2016 quando organizzava dibattiti in Sicilia. Da Roma gli fecero il mio nome”.
Capano non è indagato. Il dirigente radicale è solo citato nel decreto di fermo di Nicosia per un paio di conversazioni che a prima vista potrebbero imbarazzarlo. Al Fatto dopo l’arresto del 48enne compagno di battaglie garantiste non rinnega gli “stretti rapporti anche di natura politica”, come scrivono i pm, con Nicosia. Alla domanda se lo considera un amico risponde: “Assolutamente sì”.
Per i magistrati di Palermo Nicosia definisce il boss latitante Messina Denaro “primo ministro”? Per Capano è un equivoco: “Prendeva in giro un tizio di Castelvetrano fiero del fatto che avesse il latitante nel proprio paese. Escludo che lui invece si riferisse al boss”.
Nel febbraio 2019 c’è un incontro presso il supermercato Sisa di Marsala tra la sorella del boss detenuto Vito Rallo, capomafia di Marsala, l’avvocato Capano e il solito Nicosia. Quando gli leggiamo al telefono le parole dei pm su una conversazione di Nicosia intercettata (“Si comprendeva – scrive il pm – che il Nicosia avrebbe cercato di fare ingresso nella struttura penitenziaria insieme non solo al Capano ma anche al Deputato”), l’avvocato non fa una piega. “In quel supermercato – spiega – sono andato molte volte perché ho parlato con la zia di un ragazzo rispetto a un mio mandato difensivo”. In pratica difende un altro membro della famiglia, non il boss. Quando gli si fa notare che il punto è un altro, cioé che Nicosia entrava con la deputata Occhionero e nel frattempo secondo le accuse portava messaggi ai detenuti, Capano sbotta: “Io sono enormemente scettico su questo. Poi per carità mi auguro per l’Italia che abbiano cose concrete. Perchè se le cose sono quelle che mi dite siamo rovinati”.
Poi nel decreto di fermo c’è la storia del carcere femminile di Venezia: il 14 febbraio Nicosia invia due messaggi audio alla deputata Giuseppina Occhionero. Secondo i Carabinieri le “aveva proposto di farsi corrispondere del denaro dai titolari di una cooperativa che, all’interno della Casa circondariale della Giudecca a Venezia, gestiva la Sezione in cui erano detenute le donne madri; all’esito di una ispezione, infatti, il Nicosia e la Occhionero avrebbero riscontrato una serie di irregolarità e il primo proponeva quindi al Deputato di chiedere del denaro per modificare il contenuto della relazione che avrebbero dovuto redigere”.
Il Fatto ha contattato l’Associazione “La Gabbianella e altri animali” e la cooperativa “Il granello di Senape” che operano nel carcere femminile. Nessuno ha mai sentito nulla in merito. Però sul web si trova traccia di un articolo rimosso nel quale si legge “nei prossimi giorni sarà presentata un’interrogazione della deputata Occhionero” e si riporta il giudizio di Nicosia: “L’Icam di Venezia va chiuso”.
Nicosia, per i pm, dice alla Occhionero: “Noi abbiamo visto delle cose che non sono in regola con il decreto del 2011. Quell’Icam lì va chiuso perché non corrisponde ai criteri pedagogici (…) i bambini vedono le divise e (…) ci deve essere l’asilo e non c’era (…) Chiamano per convincerti? Dai l’iban quando chiamano (…) in base a quello che mandano eventualmente modifichiamo le dichiarazioni ma capisci che non si può fare gratis”. Il 7 marzo poi la deputata presenta due interrogazioni parlamentari sul carcere e l’Icam.
Secondo i pm da una frase detta da Nicosia a Capano in una comunicazione intercettata il 19 febbraio si comprenderebbero due cose: che la Occhionero “aveva rifiutato la proposta dell’indagato” e che “l’iniziativa criminosa veniva illustrata dal Nicosia anche a Capano”. In realtà la conversazione non è affatto chiara.
Comunque Capano non ci vede nulla di male: “Me la ricordo questa conversazione. Il senso era esattamente l’opposto. Nicosia si era reso conto che non c’era un’attività sul piano trattamentale che corrispondesse a un’attività della cooperativa. La Occhionero invece si rendeva conto delle difficoltà delle cooperative e diceva ad Antonello: ‘Non ci andiamo così pesante su questa cosa’. Lui rispondeva: ‘Ma no, noi dobbiamo denunciarla’. In questo contesto Nicosia mi dice la frase: ‘Ma che a noi ci pagano questi per non denunciare?’. Non certo perchè volesse essere pagato davvero”.
- Aggiornato da redazione online alle ore 19 e 30 del 6 novembre