Si stanno svolgendo da qualche settimana i campionati nazionali di cittadinanza onoraria, specialità in cui i Comuni italiani si fronteggiano con una non trascurabile dose di agonismo, dando un ben misero spettacolo della nostra povera patria. Da Biella a Sesto San Giovanni, a Cento e Ferrara, prima città a guida leghista ad aver dato l’onorificenza a Liliana Segre, è una gara a chi dice più sciocchezze.
Il sindaco di Biella per esempio: prima ha detto no alla cittadinanza alla senatrice, poi sì a quella a Ezio Greggio, che però a sorpresa ha declinato (“mio padre è stato tre anni in un lager tedesco”). Allora il primo cittadino ha pensato bene di ammettere: “Sono stato un cretino”. Intanto a Cento, che ha votato a favore della cittadinanza alla signora Segre, i dem rilanciano: via quella a Benito Mussolini, per dio. Peraltro, quella di levare la cittadinanza onoraria al Duce (conferita da moltissimi Comuni italiani nel 1924 per l’anniversario della Rivoluzione fascista) è un’idea non proprio nuova. Già in tanti l’hanno revocata con pomposi comunicati, ignorando che l’effetto è quello di passare il cancellino sulla memoria: non è un bel servizio alla Storia.
Quanto alla senatrice Segre, proposta perfino per il Quirinale 2022 (oggi ha 89 anni), sta diventando una specie di bandierina, sventolata a caso in ogni contesto, con ben poco rispetto per la storia collettiva di cui è testimone e per la sua vicenda personale: ancora porta i segni di quell’ignominia chiamata Olocausto sul braccio sinistro. Un tatuaggio che, ha detto recentemente lei, è la vergogna di chi l’ha fatto non certo di chi lo ha subìto. Ma non è rimuovendo il passato, non è portando il nome della senatrice Segre in giro come la Madonna pellegrina, che si favorisce un radicamento autentico dei valori antifascisti su cui si fonda la Costituzione.