Che cosa scandalosa hanno fatto i 5 Stelle! Far votare i propri iscritti sulla piattaforma Rousseau! Mettere in piazza la propria crisi con una votazione che si è rivolta addirittura contro il proprio capo politico e, in realtà, contro tutti i “capi” visto che l’accordo a non presentare liste in Emilia Romagna e Calabria era molto ampio. E invece la decisione presa è un’altra. “La piattaforma Rousseau si è abbattuta su chi ha preteso di manipolarla” scrive Repubblica mentre impazza la polemica sul “declino industriale” del Paese che sarebbe responsabilità di una politica che non sa decidere o che, magari, decide su Rousseau.
Per essere chiari, non è che le modalità con cui il M5S si muove politicamente, prende le decisioni, le comunica, siano da manuale. Anzi, le contraddizioni sono evidenti e si moltiplicano. La crisi del movimento dura dalle elezioni europee del maggio scorso. Finora è proseguita al rallentatore in attesa di un chiarimento, logorando Luigi Di Maio, incapace di imboccare una strada decisa e procedere a una riforma interna. Del capo politico si chiede la testa ogni giorno, sia pure con messaggi obliqui e mai diretti (che poi, tolto Di Maio, che cambia?). Lo stesso voto dell’altroieri sulla Piattaforma è stato un autogol e un modo per scontentare tutti, tranne i più duri e presunti puri. Tutto questo è vero. Ma l’accanimento anti-5Stelle che si verifica a ogni votazione è surreale.
A settembre, quando la piattaforma fu chiamata a dare il via libera al Conte 2 – tra l’altro con una partecipazione e un risultato eclatanti – mancò poco che si gridasse al colpo di Stato: “Quando il capo politico del M5S smetterà di giocare con la democrazia?” scriveva sul Corriere della Sera l’autorevolissimo e riveritissimo Sabino Cassese. Oggi che il voto castiga Di Maio le critiche sono diverse: dabbenaggine, incapacità politica, crisi manifesta. L’attentato alla democrazia viene riposto nel cassetto. Ma l’antipatia per il voto popolare rimane.
Eppure, gli altri partiti cosa possono vantare di meglio? Delle decisioni collettive della Lega non si ha traccia, sul sito ufficiale non si registrano decisioni e prese di posizione di organi collegiali, tutto il potere decisionale è riservato al “capitano”. Che magari discute e decide in cenacoli ristretti, ma guai a darne notizia pubblica.
Di Forza Italia meglio non parlare, non si muove foglia che Berlusconi non voglia. L’unico a mantenere una struttura partitica regolare resta il Pd, in parte forse Fratelli d’Italia. Ma il Partito democratico ha appena varato un nuovo statuto in cui prevede l’iscrizione e la consultazione entrambe online, mentre il neonato partito calendiano, Azione, ferocemente anti-grillino, propone di costituire i gruppi online come dei meet-up qualsiasi. Si critica, eppur si copia, cercando di non darlo troppo a vedere.
In realtà è la politica tutta a restare immersa in una spirale autodistruttiva in cui il distacco tra luoghi decisionali e “popolo” è sempre più abissale. I 5Stelle sono nati anche per questo, per tenere collegati i fili. E se oggi spegnessero la loro piattaforma, vista la desertificazione dei loro meet-up, non avrebbero più nessun altro legame con la propria base di iscritti.
La lezione che se ne può trarre, in verità, è proprio di leggere meglio Rousseau nel senso di Jean-Jacques. Il filosofo ginevrino, infatti, quando invocava la democrazia diretta parlava di “compresenza fisica di un popolo”, pensando alla piazza ateniese, all’Agorà, a soggetti in carne e ossa che difendevano i propri interessi difendendo gli interessi di tutti: “Il popolo sottomesso alle leggi ne deve essere l’autore”. La compresenza fisica di un popolo, quindi, non solo nella forma eterea del web, ma nella piazza in carne e ossa. Un po’ come le Sardine.