A dimostrazione di come la lotta all’evasione fiscale non porti voti e di come anzi ai politici convenga sempre strizzare l’occhio agli evasori, arrivano le larghe intese contro il Pos. Martedì 3 dicembre tutti i partiti (ma in questo caso sarebbe meglio dire tutte le parti in commedia) esultano all’unisono perché in commissione Finanze passa un emendamento, firmato dalla deputata di Forza Italia Claudia Porchietto, per cancellare dal decreto fiscale le sanzioni da comminare a chi non accetta pagamenti con bancomat e altri tipi di moneta elettronica. La giustificazione è in teoria nobile, ma nei fatti fa acqua da ogni parte. Vediamo perché.
Tutti, a partire dal Movimento 5 stelle, spiegano che le commissioni sulle transazioni e le spese fisse per il Pos (anche 120 euro l’anno) sono troppo alte. E che per questo non si può dare una multa di 30 euro (più il 4% del pagamento rifiutato) al commerciante o all’artigiano sprovvisto del terminale finché non verranno di abbassate. Attenzione: che le commissioni siano troppo alte è vero. Ma è perfettamente falso che per evitare il salasso ai commercianti sia necessario attendere che le banche rivedano le loro esose pretese.
Proprio il decreto fiscale prevede che tutte le attività con ricavi o compensi al di sotto dei 400mila euro annui avranno diritto dal 2020 a un credito d’imposta pari al 30% sulle commissioni pagate su ogni transazione con carta o bancomat. Per questo “sconto” sono stati stanziati 30 milioni di euro. E qui si viene al punto. Se davvero l’obiettivo dei nostri cari parlamentari fosse stato quello di tutelare i tanti commercianti onesti messi in difficoltà dalle commissioni alte e non i furbi, sarebbe stato sufficiente stanziare non 30, ma 100 milioni di euro e portare il credito d’imposta al 70 o all’80 per cento.
Bravo! dirà il lettore, ma dove li troviamo gli altri 70 milioni? La risposta ce l’ha data proprio il governo quando ha spiegato urbi et orbi che incentivando la moneta elettronica vi sarebbe state molte meno compravendite di merci e servizi in nero e di conseguenza sarebbe aumentato il gettito per il fisco. Per questo era stato pure previsto che (come già sperimento con successo in Portogallo e in altri paesi) anche in Italia partisse la lotteria degli scontrini. Come già accade in farmacia, al momento dell’acquisto presenti il tuo codice fiscale. E con quello (più un codice lotteria) partecipi a un’estrazione a premi (in denaro) mensile e annuale. Se poi paghi con un sistema elettronico tracciabile le tue probabilità di vincita aumentano.
Inizialmente la lotteria degli scontrini doveva scattare a gennaio. Ora è stato spostato tutto a luglio. Ufficialmente per difficoltà tecniche. Anche se non si può non guardare al calendario. Nella prima parte dell’anno andranno al voto Emilia Romagna, Calabria, Marche, Puglia, Liguria, Campagna, Veneto e Toscana più altri 1050 comuni. Visto che, secondo le statistiche, le partite Iva e le imprese individuali hanno una propensione all’evasione Irpef del 68,3 per cento contro il 3,7 per cento dei lavoratori dipendenti, viene così da chiedersi se sulla decisione del rinvio dell’inizio della lotteria non abbia pesato pure dell’altro. L’immagine di tanti commercianti-elettori che stramaledicono il governo perché costretti a confrontarsi con l’ira di decine di clienti inalberati perché l’assenza di Pos diminuisce la loro probabilità di vittoria.
A pensar male si fa peccato. Ma visto come andata con la cancellazione delle multe, anche in questo caso forse ci si azzecca.