A Montecitorio arrivate le lettere di alcuni imprenditori di Tangentopoli per la cancellazione degli atti che li citano
Se non fosse stato condannato pochi mesi fa per la sparizione dei gioielli della sua amante dell’epoca, la contessa Francesca Vacca Augusta, da tempo si sarebbero perse le tracce di Maurizio Raggio, uno degli uomini di fiducia di Bettino Craxi. Che ora vive tra l’Italia e l’America dove si è reinventato imprenditore nel settore biomedicale, […]
Se non fosse stato condannato pochi mesi fa per la sparizione dei gioielli della sua amante dell’epoca, la contessa Francesca Vacca Augusta, da tempo si sarebbero perse le tracce di Maurizio Raggio, uno degli uomini di fiducia di Bettino Craxi. Che ora vive tra l’Italia e l’America dove si è reinventato imprenditore nel settore biomedicale, ma che vuole cancellare ogni riferimento che dai tempi di Tangentopoli vede associato il suo nome a quell’antico legame.
E così l’ex bon vivant di Portofino ha scritto tramite i suoi avvocati all’amministrazione di Montecitorio affinché venisse eliminata o in subordine deindicizzata, un’interrogazione parlamentare risalente addirittura al 1997. In cui si menziona Raggio e il suo ruolo “nello svuotamento dei conti svizzeri gestiti da Giorgio Tradati” in cui erano finiti anche quelli versati dalla All Iberian, la società estera della Fininvest di Silvio Berlusconi. Una storia da far dimenticare.
Come quella che evidentemente ancora imbarazza Carlo Sama, l’uomo che rivelò la madre di tutte le mazzette: la maxi tangente Enimont. Pure lui si è rifatto una vita. Ma nemmeno ora che è diventato il re della soia in Paraguay, il suo passato smette di inseguirlo. E forse per questo ha chiesto a Montecitorio che il suo nome venga coperto da omissis o sia deindicizzato un’interrogazione che pare disturbarlo parecchio, nonostante si passato un quarto di secolo.
L’interrogazione in questione fa riferimento al processo Enimont, al crack dell’Istituto finanziario milanese (Ifm) e al “Progetto famiglie”. Ideato da Sama quando era amministratore delegato della Ferruzzi Finanziaria che aveva “stanziato un miliardo di lire per prezzolare i giornalisti”: una pioggia di denaro che doveva servire a rilanciare l’immagine del gruppo ravennate dopo il divorzio con Raul Gardini.
Il nome di Rodolfo Salsiccia invece non ricorda granché ai più. Ma anche lui c’entra con l’inchiesta di Milano che la politica vuole a tutti i costi rimuovere dalla memoria collettiva. Chi è costui? Un imprenditore del settore ferroviario che nel 1993 confermò ai magistrati che i partiti pretendevano soldi con la pala per gli appalti: dal 2 al 4 per cento dell’ammontare dei lavori delle Ferrovie Nord a cui era interessato. Stecche a molti zeri che imbarazzano certo, ma che si preferirebbe nascondere sotto il tappeto dell’oblio. Per questo Salsiccia ha chiesto che dagli archivi sparisca il suo nome data “la non attualità dei fatti oggetto dell’atto” che ricorda di una tangente che sarebbe stata portata da un intermediario a Piazza del Gesù e consegnata direttamente nelle mani dell’allora tesoriere della Dc Severino Citaristi.
Vecchie storie, certo. Ma anche protagonisti e comprimari di vicende più recenti che hanno a che fare con giri vorticosi di denaro vorrebbero la tutela dell’oblio.
Come Maurizio Filotto, un ex carabiniere con buonissime entrature tra i politici di Cl e di Forza Italia che dopo essere stato anche consigliere per la sicurezza del presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni, era stato scelto dall’ad di Poste Massimo Sarmi per guidare la divisione Tutela: nel 2004 era stato arrestato mentre secondo gli inquirenti stava per ricevere una tangente di 600 mila euro che gli era stata promessa dall’Ivri, allora gigante della vigilanza privata. Giulio Gargano invece è stato assessore della giunta laziale presieduta da Francesco Storace. Ed era finito in carcere nel 2006 per un’inchiesta sulla corruzione nella sanità, quella che aveva per protagonista Lady Asl romana, al secolo Anna Iannuzzi. Oggi Gargano è uomo di fiducia del patron della Lazio Claudio Lotito che lo ha scelto come direttore generale della sua holding. E ha scritto pure lui alla Camera per vedersi riconosciuto il diritto all’oblio. Gradirebbe gli omissis anche il conte Enrico Maria Pasquini, accusato di essere il dominus di un gruppo che acquisiva denaro da facoltosi clienti, per poi farlo transitare tra conti di società situate in paesi off-shore e San Marino.
L’oblio: ultima frontiera per i protagonisti di Tangentopoli