Gianna Nannini è pazza. Da sempre e per fortuna. Lo dimostra anche nell’ultimo disco, La differenza. Nell’era dell’iper-tecnologia, si è presa “una stanza a Gloucester, come mi ha involontariamente ispirato Virginia Woolf nel suo Una stanza tutta per me”. Lì ha scritto “un disco nato in nove mesi, come una bambina”. E poi è volata, su consiglio dell’amico Dave Stewart (ex Eurythmics), a Nashville. Dove non conosceva nessuno e aveva un’idea fissa: “Trovare una killer bandche suonasse tutto live: buona la prima, senza overdubs e trucchetti. Come si faceva una volta. Così è stato. Quando hanno sentito la mia voce, mi hanno detto che era una voce da nera e che dentro ci sentivano l’America. Ripetevano “awesome”, e io non sapevo cosa volesse dire. Poi l’ho capito: per loro, la mia voce era “impressionante”. La differenza è un disco ispirato e diretto, con una parte centrale (Gloucester Road, L’aria sta finendo, Canzoni buttate, Per oggi non si muore) di particolare pregio. A maggio partirà con un tour in tutta Europa e il 30 maggio sarà allo Stadio Franchi di Firenze.
La differenza sembra come un modo di tornare ai suoi dischi di 35-40 anni fa.
Non a caso a supervisionare c’è Mauro Paoluzzi, con me in Latin Lover (1982). Sognavo un disco dove tutto suonasse come se provenisse da uno strumento solo. In Italia non facciamo mai gruppo, infatti non esiste una band seria o quasi. Qua dentro invece siamo stati band. Anche nei testi, col mio amico di sempre Pacifico. E i luoghi mi hanno ispirato.
Londra, Nashville.
A Londra, sotto la mia stanzetta, abitava uno scrittore inglese di 91 anni. Parlando con lui mi sentivo quasi Virginia Woolf sul serio. Nashville, oltre al country, sin dagli anni Quaranta è sempre stata la “music city” del Mid-South: blues, r&b, jazz, gospel. Credo che mi abbia permeato.
“Siamo stati stupidi a invecchiare”. E’ quel che canta nella splendida L’aria sta finendo.
Il mio mentore Conny Plank mi diceva sempre: “Stay young”. Resta giovane. Come si fa? Si invecchia non con l’età, ma quando si smette di aver voglia di cercare e scoprire. E’ lì che i sentimenti diventano tossici. Che la vita stessa diventa tossica. E si muore. La ripetitività ci rassicura, ma al tempo stesso ci uccide.
Zucchero ci ha detto che avverte un paese depresso e incapace di arrabbiarsi.
Abito a Milano e lei sta rinascendo. L’Italia intera no, è piena di problemi, ma preferisco sottolineare le cose belle. Certo non ci vogliamo bene per niente: ero a Barcellona e lì sono giustamente orgogliosi del flamenco. Noi invece ci vergogniamo delle nostre tradizioni, e per far suonare come si deve – cioè a modo mio – un cazzo di mandolino sono dovuto andare a Nashville.
Spopolano le sardine, ma pochi ricordano che nel ’95 lei si arrampicò sul balcone dell’ambasciata francese per protestare contro i test nucleari di Chirac a Mururoa.
Ogni protesta democratica mi piace, ma sulle sardine per ora non mi esprimo. Chi sono, chi c’è dietro? Quando mi arrampicai, ero molto dentro Greenpeace. La mia band aveva paura di essere arrestata e mi lasciò sola. Ne trovai un’altra, i Settore Out. La polizia staccò il generatore della corrente, così mi arrampicai – al tempo facevo roccia – e cantai col megafono Boris Vian. Nel frattempo i compagni bloccavano la polizia, io stavo sul balcone e tecnicamente non era “invasione”. Sono andata avanti due ore col megafono.
Che c’entra una ribelle come lei con Massimo Ranieri? Era una sua “groupie”.
(Ride) Venivo da una cultura contadina, in casa si guardava la tivù con Modugno. Per un po’ ho pensato che il bel canto fosse incarnato da Massimo Ranieri. Così ero sua fan. Di lui e di Nada.
L’ha scoperta Mara Maionchi.
Al mio provino si mise a piangere. Poi scappò un tavolo dalla rabbia perché volevo cercare un altro manager. E quel tavolo me lo mise pure in conto, detraendolo dalle royalties. Un problema, perché in quel periodo non vendevo nulla.
Gabriele Salvatores.
Recitai nel suo Sogno di una notte d’estate (1983). Registrammo tutto di notte e la cosa mi sballò parecchio. E’ un film azzardato, teatrale e molto innovativo. Da riscoprire.
Michelangelo Antonioni.
Girò il video di Fotoromanza, anche se lui avrebbe preferito la più monocorde L’urlo. Anno 1984. Stavo con un ragazzo che si rubò tutta la scenografia: povero Michelangelo, aveva una sceneggiatura pazzesca e girò senza niente! Era il mio mito, ma all’epoca non c’ero tutta con la testa e non me la sono goduta appieno. Prima di quel video non c’eravamo mai visti. Antonioni sapeva creare emozioni ancestrali: nella scena chiave, ha aspettato tre ore prima di darci il ciak. Voleva che mi battesse davvero il cuore. E solo quando mi ha battuto davvero, e non so come lo abbia capito, ha dato il ciak. E’ venuto tutto alla prima. Un genio.