È il pomeriggio frenetico di una domenica natalizia, la folla cammina sul Naviglio vestito a festa: Milano in questo mese di luminarie e abeti addobbati dà il meglio di sé. L’appuntamento è sotto la quercia di piazza XXIV maggio. Il maestoso albero ha compiuto 101 anni, è stato piantato alla fine della Grande guerra: è cresciuto tanto, troppo, le radici sono state contenute, ma per non abbatterlo gli hanno messo a supporto due grandi piloni di ferro. È il posto giusto per cominciare il nostro tour, perché anche i protagonisti di questa storia hanno cercato di non abbattersi e trovato un sostegno a cui aggrapparsi. È un giro di Milano quello che stiamo per iniziare, al capolinea del tram 10. A far da ciceroni ci sono quattro gatti che avevano pensato di esserci arrivati loro al capolinea e poi, insieme, hanno cominciato un nuovo viaggio. Si chiamano proprio gatti, anzi “Gatti spiazzati”: l’idea gli è venuta davanti a un caffè caldo, al centro diurno la Piazzetta della Caritas ambrosiana. In un giorno autunnale e già freddo, in via Famagosta gli ospiti erano entrati alla spicciolata per scaldarsi attorno al tavolo della cucina imprecando contro l’umidità. Pioveva fitto fitto e quando piove è un brutto guaio se non hai una casa. In cucina si parlava del tempo, tutti avevano un ricordo da mettere sul tavolo per scaldarsi, un pezzo di vita di quando era tutto intatto. A un certo punto qualcuno si è ricordato un vecchio detto sulla città che fu: “I gatti, da Casteggio a Borgo Priolo, potevano camminare sui tetti per sei chilometri senza toccare terra”. Eccoli i gatti. Non randagi, spiazzati perché Aldo, Marco, Elisabetta, Micol, Romolo, Gianni, Onofrio una casa ce l’hanno avuta, e un lavoro e un armadio dove mettere i vestiti, il bicchiere in bagno con lo spazzolino, una dispensa piena. Poi la vita ha preso male una curva di troppo e adesso eccoli là, in coda per un pasto o un posto letto: quegli oggetti della quotidianità – abiti, sapone, scarpe, spazzolini – diventano il primo problema quando resti senza tetto perché non sai dove lasciare le tue cose. Ed ecco l’idea: chi conosce Milano meglio di loro, che ogni giorno la attraversano in lungo e in largo?
Essere senza fissa dimora vuol dire camminare tanto, soprattutto. Guardare le case degli altri, gli alberi, le panchine nei giardini pubblici. Osservare le vetrine e annusare gli odori che escono dai negozi di alimentari: in mancanza di meglio, a volte bisogna accontentarsi del profumo di un cornetto o di una focaccia. Aldo a un certo punto si è reso conto che il denaro veramente non è tutto: “Riesci a sopravvivere con un euro a settimana e la domenica scoprire che hai ancora l’euro in tasca. Basta organizzarsi, reagire, ritrovare la propria dignità, vivere al minimo e ringraziare la solidarietà del prossimo e degli enti di beneficenza, che siano pubblici o religiosi”. Intanto, a forza di proverbi e ricordi, il caffè nella cucina della Piazzetta si era raffreddato: nei fondi si poteva leggere un destino nuovo. Perché questa città, la nostra, non la raccontiamo agli altri? Con questa domanda, in un giorno apparentemente uguale a tutti gli altri, è iniziato il riscatto dei gatti.
Tre anni dopo quelle chiacchiere e quei caffè, siamo qui. Gli spiazzati si sono fatti associazione e sono diventati guide turistiche dopo aver seguito corsi e conseguito abilitazioni, e ti accolgono con un sorriso incerto su visi che conservano le tracce di anni difficili. Distribuiscono l’auricolare sterilizzata insieme a un cartoncino di riconoscimento per non perdersi. Aldo e Onofrio ci fanno salire sul tram – bisogna presentarsi con il biglietto, ma se non ce l’hai te lo danno loro – e cominciano a raccontare la storia di Porta Ticinese, dove arrivava il Naviglio dalle acque del Ticino, con le barche che trasportavano le merci. Alle spalle, il borgo dei formaggiai. Un tempo si chiamava porta Cicca: un nome che si vuole risalga alla dominazione spagnola. Chica, perché piccola. O forse perché c’erano i bordelli e molte chicas hermosas? Ce lo spiega Aldo che ha 67 anni e oggi indossa una sciarpa multicolore sopra il vecchio loden verde, alla moda di Monti. Il particolare non è secondario perché lui, come Onofrio, è un esodato. Teoricamente dovevano andare in pensione dopo una normalissima vita da lavoratori dipendenti, poi hanno scoperto che per ricevere l’assegno dovevano aspettare 5 anni. Sulla strada, a dormire nell’aeroporto di Linate, ci sono arrivati così, per un buco nella legge. Da pochissimi mesi Aldo finalmente riceve la pensione, adesso ha un appartamento che divide con un coinquilino e non ci pensa proprio a prendersi un monolocale da solo perché in questi anni di sfiga ha scoperto il valore della condivisione. E della compagnia. Elisabetta, che racconta dei ragazzi del ’99 a cui è dedicata la quercia rossa, ha lasciato il lavoro per assistere la mamma malata. La mamma è morta, il marito volatilizzato e lei è finita nel dormitorio pubblico, a sessant’anni suonati. Gianni invece è disoccupato. Da quindici anni: dopo i 60 non ti prendono nemmeno per fare le pulizie.
Il nostro tram procede nel traffico di Natale. In piazzale Cantore, Aldo ci indica una delle prime case popolari di Milano, dove c’era il bagno all’interno delle abitazioni. Per i tempi era un vero lusso: prima si usavano le turche nei locali comuni. Nel cortile c’erano le docce, la lavanderia e perfino la biblioteca e una bocciofila. Sono case basse, di tre massimo quattro piani, costruite con il poco ferro che all’alba del Novecento era in circolazione. Ma nel quartiere operaio alle spalle di Parco Solari – un tempo il centro del mercato del bestiame che arrivava allo scalo ferroviario di porta Genova – le lotte sindacali avevano portato diritti e l’inizio dello stato sociale: quello che oggi affoga in un mare di parole inglesi – austerity, spending review, spread… Sul vecchio tram di legno (si chiama il Ventotto, perché il primo prototipo è del 1928 e circola anche a San Francisco, a cui una decina di esemplari furono donati) salgono i passeggeri dello shopping pieni di borse da cui spuntano pacchetti di tutte le misure e carte da regalo colorate. Anche loro ascoltano il racconto di Aldo, mentre sfilano i palazzi Liberty di via Ariosto, con i loro giardini segreti e lussuosi. In piazzale Baracca c’è il monumento all’asso dell’aviazione che nella Grande guerra sfrecciava su un caccia decorato con un cavallino rampante. Alla morte di Francesco Baracca il simbolo fu consegnato come portafortuna dal padre dell’aviatore a Enzo Ferrari, che ne fece quel che sappiamo alzandogli la coda e aggiungendo lo sfondo giallo canarino, il colore di Modena. All’arco della pace scendiamo: il nostro itinerario si chiama “so e giò dal tram”, è un’invenzione relativamente recente. Quest’estate, con il caldo, gli avventori delle visite feline erano improvvisamente diminuiti. E così si sono inventati le passeggiate sul tram, dove c’è l’aria condizionata e d’inverno il riscaldamento. È la stessa cosa che capita alla Biblioteca Sormani dove Aldo come moltissimi senzatetto cerca un riparo dal freddo in inverno e dal caldo in estate, passando il tempo a leggere di tutto, dai grandi classici alle riviste.
Mentre i ragazzi entrano ed escono dai caffè di Corso Sempione, è Onofrio, appassionato d’arte, a illustrarci il monumento della grandeur napoleonica con i suoi bassorilievi che richiamano il Congresso di Vienna, la pace di Parigi, La battaglia di Lipsia… Lo sapevate che, e lo racconta anche Hemingway in Festa mobile, si dice sia allineato con il suo fratello maggiore, L’arco di Trionfo della Ville Lumière? Ripassa il 10, che va a trenta all’ora in questo punto, e allora corriamo tutti verso la fermata per risaltare sul tram che, mentre noi riprendiamo fiato, sfila sul grande boulevard accanto ai palazzi di Giò Ponti, alla sede Rai di Corso Sempione 27 e alla casa di Mike Bongiorno. Molte storie accompagnano il cimitero monumentale, con i suoi richiami bizantini e gotici, il Famedio dove riposano Alessandro Manzoni, Carlo Cattaneo, Salvatore Quasimodo. È un posto importante questo, anche perché qui davanti, in via Maroncelli, c’è una mensa per persone in difficoltà, gestita da Frati francescani. Si accede con una tessera, ambitissima perché ci sono solo sessanta posti e offre anche la colazione e il servizio di guardaroba: il giorno della distribuzione delle tessere la fila inizia all’alba.
È il momento di una nuova fermata. In viale Montegrappa ci sono le Cucine economiche, i Cusinn economich in dialetto – uno dei primi esempi di architettura sociale in città. Costruite negli anni Ottanta dell’Ottocento offrivano pasti a prezzi calmierati per gli operai e i poveri, c’era anche un forno che vendeva pane sottocosto. Le costruirono qui, a due passi dal Naviglio della Martesana, accanto al quartiere Isola, dove erano attive molte fabbriche come l’Elvetica e lo stabilimento Pirelli di Ponte Seveso. Dagli anni Settanta non è più una mensa, ma un centro per anziani dove non si mangia più – racconta Aldo – ma “si gioca a carte e ci si innamora”. Oggi Porta Nuova e l’Isola – i cui abitanti un tempo si sentivano così lontani dalla città che dicevano “andiamo a prendere un gelato a Milano” – ci sono i grattacieli e i locali della movida.
È già buio quando saliamo nella piazza dedicata a Gae Aulenti per ricevere l’ultima parte della lezione, con il naso all’insù guardando il nuovo Palazzo della Regione, il Pirellone e il grattacielo Unicredit alto ben 230 metri. Lo sapevate voi che fino al 1958 nessun edificio poteva superare la Madonnina, che guarda la città da 108 metri? Tra via Fara e via Galvani alla fine degli anni Cinquanta è stata costruita la Torre Galfa, uno dei simboli di Milano, nata per ospitare la sede milanese di un gruppo petrolifero. Oggi dentro ci sono un hotel di design “business oriented” e appartamenti di lusso. Qui si ferma il nostro tour, dove si vedono meglio le contraddizioni di Milano, in equilibrio tra la città dei ricchi e delle residenze esclusive e la solidarietà inclusiva che è stata a lungo un comandamento laico della borghesia. Aldo, Onofrio, Elisabetta e Gianni ci salutano: moltissimi turisti, mi raccontano i gatti, tornano (partiti con nove itinerari, oggi si destreggiano tra ben 40 passeggiate in città e fuori). “Non conosci mai davvero bene la città dove abiti, ogni mattoncino ha una storia”. C’è sempre qualcosa da imparare e occhi da prendere in prestito per guardare il prossimo da un altro punto di vista.