Si capisce che sta per partire il carrozzone di Sanremo dal fatto che sono cominciate le polemiche e già non si contano le cazzate a tema festivaliero che giungono da tutte le parti. L’anno scorso, in mancanza di argomenti migliori, abbiamo parlato per giorni di Achille Lauro, trapper che ha scelto come nome d’arte quello dell’armatore monarchico, accusato di aver portato all’Ariston un inno all’ecstasy (su alcune pasticche c’è scritto Rolls Royce, che era il titolo della canzone). Poi ha vinto il milanese Mahmood, ma Achille Lauro in un quarto d’ora è diventato disco d’oro e tutti hanno cominciato a cantare il suo brano: Rolls Royce è passato in due settimane dall’essere una perversa ode alla droga che manco I’m waiting for the man dei Velvet Underground, alla colonna sonora del Mulino Bianco.
Quest’anno le comiche sono iniziate con una polemica di cui “il festival non ha certo bisogno”, come hanno fatto trapelare i vertici Rai non senza un certo sprezzo del ridicolo (all’Ariston si mangiano pane e polemiche da svariati lustri). Ma veniamo a noi: la prima appassionantissima querelle sanremese degli anni Venti riguarda la partecipazione di Rula Jebreal, invitata prima da Amadeus per fare un monologo a proposito della violenza sulle donne e poi invitata a farsi da parte (qui è veramente arduo capire chi avrebbe dovuto infastidire un pezzo contro la violenza sulle donne: forse qualcuno che è a favore e, nel caso, vorremmo tanto che si facesse avanti). Prima che ieri la sua presenza fosse confermata facendo tirare un sospiro di sollievo all’articolo 21 della Costituzione, abbiamo potuto leggere una poderosa intervista rilasciata a Gad Lerner su Repubblica, in cui la giornalista esperta di Medio Oriente si diceva “sotto choc” per la censura (con tutto quello per cui si può essere sotto choc in questo periodo, proprio per Sanremo?).
La tesi è questa: “Qualcuno si è spaventato che venisse offerta una ribalta a italiani nuovi, a persone diverse come me che appartengono a un’Italia inclusiva, tollerante, aperta al mondo, impegnata in missioni di dialogo e di pace. In Rai c’è un brutto clima, e gli attacchi sono partiti da persone vicine a Matteo Salvini”. Salvini però – a forza di dai e dai forse ha capito qualcosa – ha detto subito di non essere per nulla interessato alle conduttrici di Sanremo. “Cosa vuol dire essere italiani? Avere tutti la pelle dello stesso colore e le stesse idee?”, si domanda Rula. Che si risponde parlando al plurale (maiestatis?) e di sé in terza persona (!): “L’Italia che noi sogniamo per i nostri figli è un paese collegato al resto del mondo. È un’Italia in cui c’è posto per Salvini ma anche per Liliana Segre e, se permettete, per Rula Jebreal”.
Scopriamo poi la dinamica esatta: aveva disdetto impegni e stava lavorando sodo finché non è arrivata una telefonata in cui veniva pregata di farsi da parte spontaneamente (che bella idea). Tranquillizzando chi la pensava disoccupata, Rula Jebreal ha infine spiegato che stava per volare a New York perché invitata come opinionista nelle trasmissioni sulla crisi Usa-Iran dalla Msnbc (che ora si attacca, évidemment). Onestamente non si sa se ridere o piangere.
Diciamo che la Rai riesce sempre a stupirci per la sudditanza alla politica (perfino quando la politica sembra distratta). Ma – come ha detto Checco Zalone a Vanity Fair – “Il problema è la povertà del dibattito. Il ditino moralizzante sempre alzato, ‘questo si può o questo non si può dire’. Il nascere pretestuoso di polemiche inutili e modestissime”. Questa miseria sta condannando i media all’irrilevanza con la complicità di tutti, degli aspiranti censori del servizio pubblico e dell’Italia dei buoni “impegnati nel dialogo, aperti al mondo” etc etc…