“Bono Cina bono Giappone”: tra missili e stragi in Medio Oriente e con la guerra sull’altra sponda del Mediterraneo, il dibattito politico televisivo italiano sembra un celebre film di Alberto Sordi, Il Moralista, dove nessuno sa davvero nulla ma tutti parlano di tutto con prosopopea da Foreign Office e citazioni orecchiate. Sbalzati in un altrove ostile, direttamente dal cortile delle ultime chiacchiere sul governo morente ma che non si decide a morire, i nostri opinionisti per caso dopo un po’ si rimpannucciano comodi nel consueto schema domestico. Da una parte gli emuli muscolari di Matteo Salvini, quelli che Trump ha fatto bene, che Soleimani era un macellaio e quando ce vo’ ce vo’.
C’è perfino chi non esita a evocare scenari apocalittici e la terza guerra mondiale come lavacro per tanta empietà (in attesa di andare a cena). Hanno di fronte quelli che: ma dove sta l’Europa, ma dove sta l’Onu? Che predicano il dialogo (Bono Iran bono Donald). Che deplorano, signora mia, l’eterna irrilevanza della politica estera italiana. Fino a quando le due correnti di pensiero trovano l’approdo comune nel dileggio di Luigi Di Maio. Che come ministro degli Esteri non sarà un De Gasperi, ma che viene messo alla berlina per la sua stessa esistenza, che evidentemente non riscuote la necessaria approvazione sotto il profilo estetico, meno che mai diplomatico. Forse perché fotografato “all’aeroporto di Madrid con fidanzata, sneakers e barba incolta mentre il mondo s’infiamma a sua insaputa” (La Stampa).
Ed ecco invece che nella processione talk di ex ministri e tuttologi, ciascuno ci tiene a mostrare un aplomb molto più adeguato rispetto a un ministro nato a Pomigliano, e dunque abusivo: si disegnano strategie, si srotolano mappe, si piazzano contraeree, come tanti piccoli ardimentosi Lawrence d’Arabia. Senza rendersi conto che ricercare uno scenario di deterrenza o di sopraffazione, oppure soltanto un filo logico, nel labirinto decisionale psicopatico che dalla Casa Bianca al Pentagono minaccia di bombardare i siti archeologici, come in un videogioco, e che annuncia il ritiro delle truppe dall’Iraq (salvo poi doppiamente smentirsi), ma come si fa? Senza parlare dello scatolone libico dove un generale con mascella da parata prova a buttare a mare un grigio travet mosso da fili invisibili, mentre Russia, Francia e Turchia si giocano ai dadi colossali riserve di energia. Con il sultano Erdogan intenzionato a puntare sul ritiro dei militari italiani per poi acquisire a spese dell’Eni le concessioni per l’estrazione di gas e petrolio in Tripolitania. Di come sarà garantita in futuro la nostra sopravvivenza energetica e in che modo si riuscirà a evitare un nuovo esodo biblico dal Maghreb direttamente sulle nostre coste: questa è la vitale posta in gioco su cui dovremmo essere informati.
Mettendoci di fronte alla scomoda verità sull’attuale ruolo italiano nel conflitto Teheran-Washington. Che non c’è per un semplice motivo: più che rinchiudersi in un bunker come i nostri soldati a Erbil non possiamo fare (e in attesa che si arrivi all’auspicato ritiro del contingente). Ma ecco che i nostri esperti per caso tornano a pascolare su terreni più familiari. Le elezioni in Emilia-Romagna (altro che Iran). E a Sanremo tu stai con Rula o con Rita?