Per scoprire i mandanti delle stragi del 1992 e 1993 bisogna indagare sull’arresto di Giuseppe e Filippo Graviano. L’input investigativo non arriva dall’ultimo pentito di Cosa Nostra, ma da chi per quelle stragi è stato condannato e – finora – non ha mai collaborato con la giustizia: cioè lo stesso Giuseppe Graviano. Il boss di Brancaccio, l’uomo che custodisce i segreti del biennio a colpi di tritolo, capace di cambiare la storia d’Italia, ha rotto il silenzio dentro a un’aula di tribunale dopo 26 anni. Da due mesi “Madre natura”, come lo chiamavano i suoi uomini, voleva parlare al processo “’Ndrangheta stragista”, chiedendo però di potere ascoltare prima le intercettazioni dei suoi colloqui in carcere con il compagno d’ora d’aria Umberto Adinolfi. Dialoghi in cui, secondo la Corte d’assise di Palermo che ha celebrato il processo sulla Trattativa, definisce Silvio Berlusconi un “traditore”: nel 1992 “Berlusca” – come lo chiama il boss – gli aveva chiesto una “cortesia” per poi abbandonarlo.
La difesa di Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado al processo Stato-mafia, ha sempre contestato che in quelle registrazioni Graviano pronunciasse proprio il nome dell’ex premier e anche il perito incaricato dalla Corte d’assise di Reggio Calabria non è riuscito a trascrivere alcune delle intercettazioni tra Graviano e Adinolfi, a causa dei troppi rumori di fondo. Per la Procura calabrese, che a quelle registrazioni ha dedicato un capitolo intero dell’integrazione di misura cautelare, quel “Berlusca” è invece proprio Berlusconi.
Curiosamente proprio nel giorno in cui il leader di Forza Italia è in Calabria per la campagna elettorale delle regionali, Graviano si è collegato con la corte d’assise di Reggio per rispondere alle domande dell’aggiunto Giuseppe Lombardo. E per la prima volta ha parlato di stragi, di mandanti e di misteri. Durante la prima ora del processo ha cercato di negare ogni accusa, di bollare come false le contestazioni dei pentiti, continuando a trincerarsi dietro alla sua pluriventennale omertà. A un certo punto, però, il pm ha detto: “Lei mi deve fare capire quale è il disegno che accomuna tutti i collaboratori di giustizia che parlano di lei, allora io procederò a indagare su questo disegno”. Graviano ha risposto: “Vada a indagare sul mio arresto e sull’arresto di mio fratello Filippo e scoprirà i veri mandanti delle stragi, scoprirà chi ha ucciso il poliziotto Agostino e la moglie, scoprirà tante cose”. Che intende dire Graviano? Cosa c’entra il suo arresto con l’omicidio mai risolto del poliziotto Nino Agostino, ucciso in Sicilia insieme alla moglie del 1989? E che c’entra l’arresto dei Graviano coi mandanti delle stragi?
I fratelli di Brancaccio vengono fermati a Milano. A incastrarli è involontariamente Giuseppe D’Agostino, un palermitano che va trovarli a Milano per accompagnare il figlio Gaetano a fare un provino con i pulcini Milan. “Se i carabinieri diranno la verità su come sono andati i fatti, se anche D’Agostino Giuseppe dirà chi li ha invitati a fare il provino al Milan, e la società di Milano, voi scoprirete chi sono i veri mandanti”, ha detto il boss in aula.
Il pm lo incalza: “Lei ci vuole dire oggi chi sono i responsabili delle stragi?”. “Io non faccio l’investigatore”, risponde fiero il boss prima di aggiungere: “Io dentro al carcere ho incontrato certe persone, che mi hanno raccontato che a imprenditori di Milano interessava che non si fermassero le stragi”. Chi sono questi imprenditori? “Madre natura” non risponde ma dice semplicemente che “si evince anche dalle intercettazioni con Adinolfi. Io parlo di un imprenditore, come si evince dalle intercettazioni, però a me non fate dire nessun nome perché io non riferirò nessun nome”.
Il botta e risposta col pm diventa serrato: perché le bombe dovevano proseguire? Anche qui il boss di Brancaccio rimanda alle intercettazioni con Adinolfi: “Io non lo so perché avevano interesse a farle proseguire. Non sono nella mente di quelle persone, avete le intercettazioni”. Il pm ci tiene a mettere a verbale: “Lei ci sta dicendo che da quelle intercettazioni noi possiamo ricavare i dati per completare il suo discorso odierno?”. “Sì”, risponde Graviano. “Sia sugli imprenditori che su tutto il resto?”.
“Sì, le ho detto di si. Io non racconto bugie al signor Adinolfi perché io lo rispetto”, ripete il boss. Che in pratica cerca di accreditare le parole pronunciate in carcere come genuine, senza ripeterle. Poi torna a parlare delle bombe sostenendo di aver saputo che “in quel periodo c’era un ministro degli Interni che cercava un accordo. Per fermare le stragi si sono rivolti alle persone di Enna”. Cioè la città dove Totò Riina radunò il gotha di Cosa nostra nell’inverno del 1992 per progettare la strategia stragista.
Insomma le dichiarazioni del boss sono un mix di riferimenti a fatti realmente accaduti, interpretazioni personali e frasi che hanno tutta l’aria di essere messaggi trasversali. Inviati a chi? “È come dicono le sentenze: Arrestato Graviano si è fermato tutto. Ma non si è fermato nulla perché c’è stato l’attentato a Contorno e così via”.
Il tentato omicidio del pentito Totuccio Contorno risale al 14 aprile 1994: è tra le contestazioni inserite dalla Procura di Firenze nell’inchiesta sui mandanti delle stragi riaperta nel 2017 a carico dello stesso Berlusconi.