Questa volta non basterà un Ferrero Rocher per soddisfare “quel leggero languorino” della nobildonna in giallo di un vecchio spot televisivo. In pancia gli inglesi non hanno solo un leggero appetito, ma una gran fame di recuperare denaro utile alle casse pubbliche in tempi di Brexit. Così la Ferrero (e non solo lei) rischia di pagare salato il conto delle acrobazie fiscali, perfettamente legali, di ottimizzazione internazionale delle imposte.
Il gruppo di Alba è infatti finito nel mirino della deputata laburista Rachel Reeves, che ha chiesto al governo di intervenire per impedire a società come Ferrero l’utilizzo di “stratagemmi fiscali opachi” finalizzati a pagare meno tasse. “Le regole per società come Ferrero e qualsiasi altra azienda sono semplici: le tasse vanno pagate nel Paese in cui si realizza il fatturato” ha precisato la Reeves. Ma nelle multinazionali, incluse quelle del web, le cose non funzionano così. Prova ne è il caso del patron della Nutella che ha fatto andare su tutte le furie gli inglesi.
Secondo quanto riferito dal quotidiano britannico The Guardian, lo scorso anno il gruppo di Alba ha versato all’erario inglese appena 110mila sterline di tasse (130mila euro). Per la deputata britannica, il dato è sconcertante visto che il fatturato della filiale d’Oltremanica ha sfiorato i 419 milioni di sterline (500 milioni di euro). La questione non è peraltro limitata allo scorso esercizio: in dieci anni, il gruppo produttore dei Kinder ha versato al fisco inglese appena 500mila sterline (600 mila euro). Ma come è possibile che il gruppo di Alba paghi così poche tasse agli inglesi? Nonostante le corpose vendite, Ferrero non riesce forse a produrre utili?
Per il Guardian le cose non starebbero esattamente in questi termini. Ma sono il risultato di uno stratagemma fiscale semplice e pienamente nelle regole. Secondo la ricostruzione del giornale, lo scorso anno, la filiale britannica di Ferrero ha pagato 334 milioni di sterline in costi di vendita alla holding lussemburghese che controlla l’intero gruppo. In questo modo, la divisione inglese ha registrato solo 9,7 milioni di sterline di utili ante-imposte in base ai quali ha pagato 110 mila sterline di tasse (che, va detto, nel Regno Unito sono assai basse per le società). “I conti della divisione inglese mostrano come Ferrero non abbia raggiunto il break even per diversi anni – ha spiegato al Guardian il consulente fiscale Robert Leach –. Nessuna controllante si terrebbe una sussidiaria che registra perdite simili anno dopo anno. Il fatto che Ferrero invece lo faccia è a tutti gli effetti un’ammissione che sta esportando i profitti. Fondamentalmente, si tratta di cioccolata e nocciole incartate in un fantasioso involucro. Non dovrebbe costare molto. E allora chiederei alla compagnia: ‘cosa vi costa 334 milioni di sterline?’ Vorrei chiedere a Giovanni Ferrero: ‘Perché continui a vendere cioccolata nel Regno Unito, dove non fai utili?’”. Domanda legittima. Soprattutto perché, in dieci anni, la famiglia Ferrero ha incamerato 2 miliardi di euro di dividendi attraverso la holding in Lussemburgo. Un Paese dove la tassazione è assai più leggera e in cui sono emigrati anche industriali italiani come Leonardo Del Vecchio (Luxottica) o la famiglia Rocca (Tenaris).
Del resto, è noto che in casa Ferrero gli affari vanno alla grande. Solo nel 2018 la famiglia si è staccata un assegno da 642 milioni, uno dei maggiori dividendi della storia finanziaria del Vecchio continente. Denaro che accresce ulteriormente il patrimonio (29 miliardi, dato Bloomberg) di Giovanni Ferrero, l’uomo più ricco d’Italia, il 27esimo al mondo. Tutto merito del successo mondiale di Nutella, Kinder Bueno e Rocher che hanno consentito alla holding di famiglia di realizzare 674 milioni di utili grazie a 10,7 miliardi di ricavi. Sulle sua attività, “Ferrero corrisponde le imposte nei paesi in cui opera nel pieno rispetto delle norme fiscali locali e internazionali”, spiega il gruppo.
Anche in Italia dove, secondo l’ultimo, bilancio (31 agosto 2018), l’azienda, che impiega nel nostro Paese circa 7 mila persone, ha pagato 96 milioni di tasse. E cioè buona parte dei 250 milioni di imposte pagate dal gruppo a livello internazionale. In Italia il colosso di Alba, che con la sola Ferrero Commerciale Italia fattura più di 1,4 miliardi, opera in regime di collaborative compliance e ha ricevuto la tessera numero 1 dall’Agenzia delle Entrate. Che cosa significa? In buona sostanza, ha instaurato un rapporto di continuo interscambio con l’Agenzia per “prevenire” situazioni suscettibili di generare rischi fiscali prima della presentazione delle dichiarazioni. Roba da far ingolosire i sudditi di Sua Maestà.