Il dibattito sulla prescrizione ha preso una brutta piega. Data la complessità della materia, è normale che vi siano opinioni confliggenti. Ma non ci si dovrebbe scostare dal perimetro “tecnico”. Invece si tracima nella disputa ideologica, con toni roboanti e decibel da stadio. Così, per squalificare la riforma Bonafede (interruzione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado), si parla di orrore, catastrofe, follia, apocalisse, ergastolo perpetuo, bomba atomica…
Chi approva la riforma, invece, si becca del manettaro, giustizialista e forcaiolo; magari con un leggiadro “vaffa” nelle veci di punto esclamativo.
La rissa poi è terreno fertile per veti e ricatti reciproci, tendenze non certamente di ampio respiro, che anzi si avvitano sul momento politico contingente. Per cui la prescrizione, più che un problema da risolvere, per qualche forza politica si è trasformata in una opportunità di “investimento”, anche mass mediatico. Innescando percorsi verso posizioni sempre più esasperate, con il rischio di una sorta di “dimissioni” dalla realtà. Allo scopo, leggibile in controluce, di avventurarsi in qualche regolamento di conti o di marcare il proprio territorio arroccandosi in esso.
Intervistata il 5 febbraio da Otto e mezzo, l’on. Mara Carfagna ha saputo – tutto sommato – adottare un registro controcorrente, più soft. Ma quando Lilli Gruber le ha fatto notare che secondo i sondaggi la maggioranza degli italiani è favorevole alla riforma Bonafede, la Carfagna ha obiettato che dipende dal fatto che essi ignorano varie cose. E ha portato l’esempio del reato di corruzione in atti giudiziari, sostenendo che si prescrive in 33 anni, cioè in un tempo già di per sé così lungo da rendere assurda l’interruzione sine die della riforma.
Senonché, codice alla mano (articoli 319 ter, 157 e 162 c.p.) per la prescrizione di tale reato si arriva a una soglia massima di 18 anni. L’art. 319 ter prevede anche un’ipotesi speciale di corruzione in atti giudiziari, che si verifica quando si trucca un processo per far condannare ingiustamente qualcuno. In tal caso la soglia massima della prescrizione diventa di 21 o 30 anni, a seconda che dal fatto derivi un’ingiusta condanna fino a 5 anni ovvero una pena superiore. Sempre meno del dato enunciato da Mara Carfagna, la quale per altro non ha fatto alcun cenno a questa “speciale” corruzione in atti giudiziari, che del resto riguarda casi decisamente poco frequenti.
Chi, come l’on. Carfagna, non ama la riforma, predilige una narrazione suggestiva che non arreca nulla di sostanziale all’argomento centrale. Molto “gettonati” sono la demolizione della presunzione di non colpevolezza e della ragionevole durata del processo. Ma francamente non riesco a vedere come tale presunzione possa essere scalfita dall’interruzione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, posto che le carte sono ancora da giocare.
Quanto alla durata del processo, a me sembra evidente che è proprio la prescrizione infinita (cioè senza alcuno stop definitivo) che trascina all’infinito certi processi.
Sia come sia, per le statistiche ministeriali del 2018 la prescrizione ha colpito 117.367 processi: di cui 57.707 nelle fasi iniziali (pm, gip); 27.747 in primo grado; 2.250 davanti al Giudice di pace; 29.216 in Appello; 646 in Cassazione. Ora, poiché la riforma Bonafede si applica solo ai processi già conclusi in primo grado; considerato che in Cassazione si prescrivono pochissimi processi (l’1,1 %): si può dire che la riforma riguarderà il 26% circa dei processi prescritti, cioè il 3% di quelli trattati ogni anno. Non propriamente una catastrofe apocalittica.
Va ancora detto che la prescrizione senza interruzione può impedire che si arrivi a sentenza nel merito. Ciò favorisce soprattutto alcune categorie di processi e di imputati. Tipo i disastri ambientali di Porto Marghera e dell’Eternit, i crac bancari, i reati fiscali e tributari, le speculazioni edilizie e gli abusi urbanistici. Reati di elevato impatto civico e sociale (tra l’altro spesso destinati a emergere solo dopo molto tempo). Reati che di solito riguardano imputati potenti, magari della classe dirigente. Per contro, con la riforma Bonafede è certo che una sentenza arriverà.
In ogni caso, gli effetti della riforma si verificheranno soltanto fra 4 o 5 anni. C’è ampio spazio, quindi, per ridurre i tempi del processo.
Basta volerlo davvero, non farne un alibi per attaccare la nuova prescrizione.