La lettera

Sardine, i quattro fondatori rispondono all’appello pubblicato sul Fatto: “Gerarchie giuste? Non siamo sicuri, ora inizia la fase matura”

Il 'direttivo' delle Sardine risponde alla lettera di Moni Ovadia, Nadia Urbinati, Pif, Roberto Morgantini, Stefano Bonaga e Sandro Ruotolo pubblicata da Il Fatto Quotidiano: "Valgono tre semplici parole: buona la prima. Gli errori fanno parte di ogni recita, anche la più riuscita"

Di Andrea, Giulia, Mattia e Roberto
18 Febbraio 2020

Cara Nadia, cari Moni, Pif, Roberto, Sandro e Stefano,
grazie.
Grazie per la vostra lettera e tutta la passione che avete dimostrato in questi mesi nell’avvicinarvi a noi come persone, prima ancora che come ideatori di questo grande esperimento che sono le Sardine. La vostra umanità è tangibile quando parlate di “prove ed errori”. Fate riferimento a una dimensione che non appartiene solo ai laboratori scientifici, ma a una molto più estesa e che ci riguarda tutti: la condizione umana. Quando saliamo su questo palcoscenico che è la vita, una legge si impone a tutti nell’agire quotidiano e risponde alle tre semplici parole “buona la prima”. Gli errori fanno parte di ogni recita, anche la più riuscita.

Le domande che sollevate sono legittime e crediamo di coglierne lo spirito. Appaiono ai nostri occhi come domande aperte, sincere, schiette. Si tratta di interrogativi che ci poniamo da settimane, in compagnia di tante persone. Siamo spesso attraversati da un senso di vuoto e sappiamo che questo è dovuto al fatto di non avere risposte semplici in tasca. Ma quel vuoto è in parte colmato proprio dalla consapevolezza di non essere soli. La vostra riflessione è la nostra. E viceversa. Proviamo dunque a rispondere puntualmente, insieme.

Ci chiedete se siamo sicuri che organizzarsi attraverso deleghe e gerarchie formali mantenga lo stesso fascino per la moltitudine di cittadini che abbiamo mobilitato e persino “entusiasmato”. Ne siamo sicuri? No, non lo siamo. Come potremmo avere questa presunzione? Sappiamo però una cosa e il germe di una risposta completa risiede proprio nella vostra domanda. Parlate di fascino ed entusiasmo. Giusto, giustissimo. E a voi queste due parole cosa ricordano? A noi un’esperienza tanto precisa quanto universale, spoglia di sentimentalismi melensi: l’Amore. Ogni Amore trae le sue origini da una fase iniziale di stordimento, di entusiasmo irrefrenabile, di fascino vissuto come tensione costante. Allo stesso modo, ogni Amore “maturo” perde un po’ di quella spinta e si trasforma in piccoli gesti e complicità, in una tensione meno bruciante ma, magari, più solida e duratura. Se come individui liberi stiamo vivendo la ricerca di questa nuova tensione sul fronte della Politica è forse indice del fatto che stiamo riprendendo coscienza, come singoli e come collettività, di appartenere a un tessuto sociale, nelle vesti di cittadini. Rimarrà per sempre traccia di quell’Amore iniziale. È già storia. Giunti a questo punto, ci sembra giusto che ognuno si senta libero di scegliere il tipo di vincolo da instaurare, se vincolo vorrà essere.

Abbiamo accompagnato molti all’altare? Non possiamo certo costringere le persone a sposarsi, né con noi quattro (ci mancherebbe!), né con alcuna forza politica. In molti però, riempiendo le piazze, non potranno negare di essere stati innamorati, almeno per un giorno. Di sé stessi? No di certo. Piuttosto del proprio vicino o, più in generale, della partecipazione alla vita democratica di un Paese, dentro e fuori dalle urne. E questo a noi sembra già un grande risultato, forse l’unico che ci eravamo realmente posti e che sentivamo alla nostra portata.

Ci chiedete se dobbiamo impegnarci nella crescita generale della maturità politica di tutti i cittadini o se è tempo di proporci come nuovo ceto politico che si aggrappa a una parola consunta come “cambiamento” per legittimare ambizioni di potere. Questa domanda ci sembra più facile della prima. Abbiamo sempre affermato di voler lavorare per stimolare la partecipazione alla vita democratica del Paese. Lo abbiamo sempre fatto non in qualità di leader; al massimo nelle vesti di “primus inter pares”. Cosa significa questo? Che abbiamo avuto un’idea. Forse l’abbiamo avuta per primi, forse nel momento giusto, sicuramente accompagnati da una buona dose di fortuna. Ora questa idea, o forse sarebbe più appropriato definirlo un sentimento, cammina sulle gambe di molte persone.

Imporre gerarchie ai sentimenti sarebbe, a dir poco, velleitario. Giunti a questo punto, ci riteniamo estremamente soddisfatti a camminare per le strade sapendo di essere circondati di una moltitudine di individui che silenziosamente condividono i nostri stessi principi. Siamo felici che restino silenziosi. Non c’è bisogno di fare chiasso. Ma è bello sapere che i principi, attraverso i corpi delle persone, possano rendersi manifesti, visibili. Riteniamo che questo faccia sentire tutti più sicuri. Ed è questa una bella visione che ci sentiamo di condividere, se proprio vogliamo parlare, nello specifico, del concetto di sicurezza.

Ci chiedete se innovazione, differenze, autonomie, responsabilità, accoglienza e Bene comune possano coesistere non solo come parole all’interno di una frase, ma anche come fibre intrecciate di un tessuto sociale. La nostra risposta è certamente sì. È quella la direzione. È quella la nostra visione e i fatti hanno dimostrato che è la stessa di moltissimi cittadini sparsi in tutta Italia e in tutto il mondo. Ne prendano atto la Politica e i suoi rappresentanti e, nel farlo, raccolgano anche tutto il coraggio che le sfide impongono, senza paura di effettuare scelte apparentemente impopolari. L’intelligenza e la sensibilità delle persone sapranno riconoscere la parola Bene comune non solo scritta su un foglio di carta; sapranno riconoscere la sua traduzione nel mondo reale, così come i sacrifici necessari per perseguirlo.

Ci chiedete infine se le gerarchie emerse nelle nostre pratiche risultino più efficaci, autorevoli e democratiche di procedure formali ed elettive. Saremo schietti. Efficaci sì, autorevoli ni, democratiche… Ci stiamo lavorando. Consapevoli di questo equilibrio precario ma indispensabile, quantomeno nelle fasi vissute fin qui, in cui l’urgenza era risvegliare una passione in una popolazione sopita, vi basti sapere che la vostra domanda vibra in noi fin dal primo giorno. Non abbiamo mai rivendicato alcun tipo di rappresentanza territoriale né tantomeno ideologica. Sappiamo di non essere stati eletti. Ha prevalso lo spirito d’iniziativa di tutte le persone che hanno voluto mettersi in gioco, proprio in accordo a quanto voi dite: quando il valore viene a galla, uno non vale uno, ma quel che vale.

Siamo saliti sul palcoscenico non perché volevamo farlo, ma perché era giusto farlo. Riteniamo di averlo fatto nel solco dei principi democratici del Paese in cui viviamo, proprio perché potessero riaffermarsi con forza quei principi e non, invece, il tetro spettro de “l’uomo solo al comando”.

Andrea, Giulia, Mattia e Roberto

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