Milioni di iraniani sono chiamati venerdì alle urne per eleggere i nuovi 290 parlamentari che siederanno nel Majlis. Le aspettative dei conservatori, sostenuti apertamente dall’ayatollah Ali Khamenei, sono quelle di rovesciare il risultato del 2016 – quando un blocco di riformisti, centristi e conservatori moderati spuntò il 41% e i conservatori solo il 23% –, riprendere il controllo del Parlamento e del governo per portare al crollo finale l’accordo sul nucleare con l’Occidente. I candidati riformisti sono stati sistematicamente eliminati dopo un attento esame del Consiglio dei Guardiani, un gruppo di 12 avvocati e leader religiosi nominati indirettamente dal leader supremo Khamenei. Più di 9.000 dei 16.000 candidati in lizza sono stati squalificati – oltre 2.000 appartengono a movimenti riformisti – con le motivazioni più varie, dalle irregolarità finanziarie al non essere abbastanza fedeli all’Islam. Il voto del 21 febbraio in Iran ha un’importanza monumentale per il futuro del regime degli ayatollah.
Le elezioni sono state a lungo utilizzate dalla leadership di Teheran come uno strumento per costringere le élite a una corsa per dimostrare la loro lealtà al regime e creare l’illusione del sostegno pubblico e della legittimità democratica. E questa volta è più disperato che mai nel mostrare ai suoi detrattori in patria e all’estero che rappresenta la volontà del popolo iraniano. Ma la sceneggiatura messa in piedi dai teocrati vicini alla Guida Suprema potrebbe rivelarsi un fallimento. La paura corre sul filo, quella della percentuale dei votanti. La domanda che si rincorre a Teheran è: che faranno i riformisti? Andranno in massa a votare per mantenere la loro presenza di minoranza in Parlamento o sceglieranno il boicottaggio – sostenuto da molti ex candidati moderati – sperando di strappare così al regime la sua legittimità?
L’establishment teme soprattutto la risposta dei giovani, che costituiscono la metà della popolazione iraniana. L’elevata disoccupazione, l’incapacità di creare nuovi posti di lavoro e l’aumento dei prezzi dopo le sanzioni americane, potrebbero convincere molti di loro a rimanere a casa domani. Nel 2016 si votò subito l’accordo con l’Occidente sul nucleare in un clima di speranza e di cambiamento. L’affluenza fu altissima al punto che i seggi restarono aperti per ore oltre l’orario stabilito. Venerdì si vota tra le severe sanzioni americane – dopo il ritiro di Washington dall’accordo – la rabbia diffusa per le bugie sull’abbattimento dell’aereo ucraino e le grandi proteste del novembre scorso contro l’aumento dei prezzi finite con migliaia di arrestati e centinaia di morti (304 quelli accertati da Amnesty International). La scarsa affluenza potrebbe essere percepita come un voto di sfiducia per il regime e sarebbe per i conservatori un segnale inquietante per le elezioni presidenziali dell’anno prossimo. Persino il presidente Hassan Rouhani – che è un moderato – dopo aver protestato per le esclusioni dei candidati riformisti ha comunque invitato tutti ad andare ai seggi. “Vi prego di non essere passivi”, il suo appello. Per garantire un’affluenza “accettabile” dei circa 60 milioni di elettori, il regime ha lanciato una campagna elettorale intimidatoria: chi non vota è un traditore. Ha spiegato l’ayatollah Khamenei qualche giorno fa: “Tutti coloro per i quali l’Iran e la sua sicurezza sono importanti devono votare, i nostri nemici hanno più paura del sostegno pubblico al governo che delle nostre capacità militari”. Khamenei si rivolgeva “ai giovani, alle nuove generazioni per la costruzione del grande Iran islamico”.
Per un regime oppressivo portare degli elettori riluttanti alle urne per partecipare un’elezione truccata è davvero una grande sfida. Ci sono tecniche ben collaudate di manipolazione delle statistiche per convincere il mondo che la maggioranza degli iraniani ha partecipato al voto. Accanto a queste il regime ha messo in campo un nuovo “trucco” per convincere i disillusi a votare. In lizza sono stati messi i giovani sostenitori meno noti del regime invece dei vecchi politici affermati che hanno perso credibilità. Il Consiglio dei sostenitori della rivoluzione, il gruppo ombrello per i fautori della linea dura, ha invitato i suoi giovani sostenitori a candidarsi (e nessuno di loro è stato epurato dai Guardiani). Il potente generale Mohammed Qalibaf – ex comandante dei Guardiani della Rivoluzione – che è un candidato di peso a Teheran ha portato con sé 60 giovani “duri e puri”, pronti per l’elezione. Un Parlamento giovane e fedele al regime, questa la visione che Khamenei desidera perché la “rivoluzione” sopravviva alle sue ottanta primavere. Il prossimo passo sarà, l’anno prossimo, il voto presidenziale. Per quella data sarà necessario trovare un candidato della linea dura, simile a Mahmoud Ahmadinejad, ma ancora più leale e obbediente.