Non esce di casa da giovedì perché ha assistito tre persone contagiate dal Covid-19. È ripassata in ospedale solo domenica per fare il tampone. Ieri sera aspettava il risultato e se sarà negativo dovrà tornare in corsia. “Il problema è che potrebbe trattarsi di un falso negativo (è frequente, ndr), io potrei essere contagiosa e infettare qualcuno”. La voce al telefono è sottile. La signora, infermiera di quel nosocomio di Codogno considerato focolaio dell’infezione che sta paralizzando il Nord e isolando l’Italia, parla con un macigno sullo stomaco.
“Lavoro in pronto soccorso – racconta al Fatto la signora, che ha chiesto l’anonimato –, giovedì sono venuta in contatto con almeno tre pazienti positivi. Un collega in servizio quel giorno ora è ricoverato tra gli infettivi a Piacenza. Almeno 4 persone passate tra le sue barelle solo quel giorno sono risultate contagiate. Un ragazzo era stato rimandato a casa perché sembrava avesse un’influenza. Poi è tornato perché era peggiorato ed era stato trovato positivo. Lo stesso giorno è arrivato un anziano e anche lui poi è risultato malato”. Fino a giovedì sera però l’emergenza non era all’orizzonte. “Sono tornata a casa la sera e non si sapeva nulla. Il giorno dopo hanno chiuso il pronto soccorso. Da allora sono a casa, non ho voluto vedere nessuno per non mettere in pericolo altre persone. Ieri (domenica, ndr), mi hanno chiamato per il tampone”.
Lo stesso giorno la Direzione generale dell’Ospedale Maggiore di Lodi ha inviato una comunicazione ai dipendenti: “Gli operatori con storia di possibile contatto stretto, asintomatici e con test negativo, sono riammessi al sevizio con utilizzo di Dpi”, i dispositivi di protezione individuale. Camice e mascherina. Cosa significa? “Che ci stanno richiamando al lavoro – spiega l’infermiera –. Ci avevano detto che avremmo dovuto rispettare i 14 giorni di incubazione come prevedono le direttive ministeriali per chi è stato a stretto contatto con i pazienti”. Poi qualcosa è cambiato e ora possono essere tutti richiamati in corsia: “Io sono a casa da 5 giorni e se domani il test dice che sono negativa, dovrò rientrare prima. Ma ci può essere un falso negativo o un’incubazione più lunga. È capitato a un collega: il primo test fatto con il tampone era negativo, il secondo lo ha fatto perché aveva 40 di febbre ed è risultato positivo. Se accadesse anche a me potrei essere un veicolo di infezione, ma potrei scoprirlo solo dopo aver lavorato in mezzo ai pazienti”.
L’ipotesi che circola tra i dipendenti è che il richiamo sia dovuto alla mancanza di personale: decine di operatori sanitari sono a casa per la quarantena senza che nessuno li abbia sostituiti. “Quello di Codogno è un piccolo ospedale da sempre lasciato un po’ a se stesso – prosegue la signora – ecco, anche con questa emergenza è ancora abbandonato. Da venerdì lei ha più sentito parlare dell’ospedale oltre che come fulcro dell’epidemia?”. No, non se n’è parlato. “Ora la struttura è in emergenza perché ci sono reparti aperti con infermieri che lavorano senza sosta da 5 giorni. I colleghi del reparto di medicina hanno fatto 4 turni di fila, senza che nessuno desse loro il cambio di notte né di pomeriggio. E per legge non possiamo lasciare il reparto se non c’è qualcuno che ci sostituisce”. Un’emergenza che riguarda tutti i reparti: “Ogni settore ha 3 o 4 operatori a casa: il pronto soccorso ne ha 5. I due anestesisti della rianimazione sono ricoverati. Sono quelli che hanno intubato il ragazzo e in quella fase, quando si apre la trachea, è più facile ammalarsi. Poi ci sono almeno due colleghe in chirurgia e tre in medicina”. “Nessuno sta aiutando Codogno – conclude l’operatrice – Stiamo implodendo”.