Ci troviamo nella paradossale situazione per cui alle persone comuni – insipienti di epidemie, modelli matematici, profilassi sanitaria e protezione civile – occorre esercitare un surplus di ragionevolezza, mentre la cosiddetta classe dirigente, variamente formata da élite e compagini castali (governanti, virologi, padroni di ogni ordine e grado) si lascia andare all’emotività e si rimangia il giorno dopo quello che ha sostenuto pervicacemente il giorno prima.
Ora, ragionando autonomamente – anche perché se diamo retta a questi, moriamo tutti entro una settimana non di Covid-19 ma di esaurimento nervoso – non possiamo non notare la sterzata comunicativa degli ultimi tre giorni. Al numero crescente di contagiati da Covid-19, prima comunicati dalle Regioni e pubblicati in tempo reale sui siti di informazione, si è sostituto il numero ufficiale dei soli casi gravi; il presidente Mattarella interviene contro “paure irrazionali e immotivate”; Conte arruola consulenti contro la “psicosi”; il Corriere apre col lapalissiano titolo: “Virus, crescono anche i guariti”, che a rigor di logica vuol dire che crescono i contagiati, ma per fortuna non muoiono tutti (non vi sentite già più tranquilli?).
Cos’è successo? A pagina 4 del Corriere ci pare di ravvisare la chiave di “sol” che detta la nuova altezza a cui d’ora in poi andranno uniformate tutte le note sul pentagramma del Coronavirus: i mali del Paese, dice il presidente di Confindustria Francesco Boccia a Federico Fubini, non sono i virus che causano la polmonite e mandano la gente all’altro mondo, ma “il non saper fare sistema, non valutare gli effetti collaterali per l’economia e la società di alcune scelte che facciamo e i danni che subisce l’immagine dell’Italia nel mondo”. A quanto pare il conteggio dei morti e degli intubati ha un po’ stancato, anche perché “l’export e il turismo hanno pesanti contraccolpi”. Seguono strazianti aneddoti: “Lo sa che l’altro giorno un nostro presidente di categoria ha avuto difficoltà a arrivare in un hotel in Germania?”. Non vogliamo nemmeno immaginare il dramma, ma possibile che non ci sia una soluzione? Certo che c’è: “Secondo noi di Confindustria – dice Boccia – bisogna lavorare al più presto alla dotazione infrastrutturale del Paese con regole iper-semplificate”. In effetti, quale migliore momento di un’epidemia per semplificare le regole sugli appalti e mettersi a costruire un po’? (Nota di colore: “basta allarmismi”, tuona il capo di quel Centro Studi che aveva predetto recessione, calo del Pil, disoccupazione e pioggia di locuste nel caso avesse vinto il No al referendum del 2016).
Sopra a Boccia, in alto, c’è un bell’appello con cui un’alleanza di imprese-banche-negozi-sindacati (Abi, Coldiretti e tutti Conf possibili oltre a Cgil, Cisl, Uil) invita il governo “ad abbassare i toni nella gestione dell’emergenza sanitaria”, “disinnescare l’allarmismo” e “tornare alla normalità” e magari, perché no, “cogliere il momento per costruire un grande piano di rilancio degli investimenti nel Paese che contempli misure forti e straordinarie per riportare la nostra economia su un percorso di crescita”. Insomma, una bella pagina del “fare” per sconfiggere la sindrome cinese.
Sarà per questo che quel che era quasi l’Ebola ora è un’influenza banalissima (“Ho preso solo una tachipirina”, testimonia una ex-positiva intervistata) e chi chiede di informarsi disturba, fa salire lo spread, fa crollare la Borsa (per ironia del destino, la parola “spread” indica sia la diffusione del virus che il famigerato differenziale). Insomma, o Confindustria è terapeutica e antivirale, e al posto della Medicina basata sull’evidenza avremo la Medicina basata su Confindustria; o c’è una nuova narrazione che è necessario imporre per non turbare i suscettibili mercati, le cui prefiche sono già al pianto greco demartiniano.
L’incontrovertibile dato che l’influenza normale non stermina interi nuclei famigliari (come ha fatto Covid-19 in Cina) e non manda in terapia intensiva sportivi di 38 anni disturba l’operoso nord, la cui Sanità è all’eccellenza (in passato anche di ruberie, oggi pure di creazione di focolai infettivi), e la capitale morale, dove il sindaco Sala, siccome hanno protestato i baristi dello spritz, ha invitato governo e Regione a emanare un’ordinanza un po’ più blanda: riapriamo tutto, se dobbiamo morire tanto vale divertirsi un po’.
Per carità, forse erano eccessivi quei titoli, allarmistiche le 16 teofanie televisive di Conte in una domenica sola e eccessive le corse al supermercato per accaparrarsi scatolame come sotto i bombardamenti: ben vengano i messaggi tranquillizzanti degli esperti. Solo non vorremmo, ecco, che la salute, diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività stabilito dalla Costituzione, venisse dopo gli interessi di banche, imprese, padroni e baristi della movida.