All’ottavo giorno dall’emergenza per il Covid-19 molto si chiarisce. Oltre a Veneto, Emilia Romagna, Marche, oggi il vero dramma si vive in Lombardia. Qui i contagi sono 513 distribuiti per l’85% nelle province di Lodi, Cremona, Bergamo e Pavia. Il 10% riguarda il personale sanitario. Anche alcuni medici di famiglia che sono un’emergenza nell’emergenza nella zona rossa, in particolare a Lodi: quattro in quarantena, sostituti da volontari e uno contagiato. Il Covid-19 si diffonde e gli ospedali sono al collasso. Quelli di Lodi, Bergamo e Cremona. Così il punto stampa ieri in Regione Lombardia è andato in scena in un’atmosfera lugubre. Presenti non più solo gli assessori, ma buona parte di medici e ricercatori che in questi giorni sono in prima linea. Verso le 15 c’era stata una riunione con il presidente Fontana dalla quale il messaggio uscito è stato: contenere il virus, aumentare le restrizioni, mantenere le zone rosse, e tenere le scuole chiuse. A otto giorni dalla scoperta del paziente 1 l’allarme non diminuisce. E le voci non della politica, ma di chi vive il virus ogni minuto svelano la realtà. Antonio Pesenti, direttore del Dipartimento emergenze del Policlinico di Milano, ha spiegato: “Questa malattia non è una banale influenza, e un’alta percentuale di pazienti richiede ricoveri in terapia intensiva”. Di più: “Le proiezioni ci fanno prevedere un disastro sanitario” perché “questo virus impatta sulle strutture sanitarie, richiede impegno e isolamento, la Lombardia ha tutta la tecnologia e tutte le competenze per trattarlo, ma il principale provvedimento è contenere l’epidemia”.
Il virus corre veloce. Al momento, ha spiegato il professor Massimo Galli del Sacco di Milano, ogni contagiato può infettare altre 2,5 persone. “Scordiamoci – ha spiegato Galli – che sia una situazione che possa essere velocemente risolta. Abbiamo un numero di infezioni locali molto alto che hanno iniziato a manifestarsi molto prima del caso di Codogno”. Il virus dunque è in Italia da diverse settimane se non da mesi. Ancora Galli: “Per un’epidemia di questa scala l’organizzazione messa in campo è ai limiti di tenuta per la gestione dei pazienti”. I letti della terapia intensiva sono quasi terminati. In totale la Lombardia ne ha 900. Le parole di Galli fanno prevedere un allargamento delle zone di contenimento verso l’area metropolitana di Milano già oggi zona gialla. “Alcuni ospedali sono in crisi, in questa realtà non ci si può limitare agli interventi sulla zona rossa, ma bisogna pensare concretamente alcune misure che portino l’intera area metropolitana fuori dai guai”.
Lodi: Gli ospedali, dunque. Oltre a Codogno, tre restano in crisi. Il primo è Lodi nella cui provincia si registra il 34% dei contagi. In città i contagi sono 51. Ne ha parlato l’assessore alla Sanità, Giulio Gallera: “La situazione è grave, ogni giorno, da quando è esplosa l’emergenza, arrivano cento pazienti al pronto soccorso con un quadro compromesso. Non esistono più i codici verdi. Vengono presi e la situazione si aggrava velocemente con la necessità di ventilazione assistita”. Giovedì erano cento le persone in coda.
Cremona: Non solo Lodi, anche Cremona rappresenta un focolaio rilevante. Ne ha parlato ieri Angelo Pan, infettivologo dell’Asst di Cremona. “Ci siamo trovati di fronte – ha spiegato – a un evento epidemico rapido e che ha provocato infezioni polmonari complesse, molto difficili da gestire, siamo sul fronte, qui a Cremona è il focolaio più colpito”. A ieri i contagi nella provincia erano 91. L’ospedale è stato rivoluzionato. “La struttura – ha spiegato Pan – è stata riorganizzata con ben tre reparti dedicati a fronte di iniziali 12 posti di malattia infettiva”.
Bergamo:C’è poi Bergamo e l’area della Val Seriana. Qui i casi superano i 20 con quattro vittime. Il volano è stato il pronto soccorso di Alzano Lombardo. Il direttore delle malattie infettive all’ospedale papa Giovanni XXIII Marco Rizzi ha spiegato: “La trasmissione è iniziata dall’ospedale di Alzano, in cinque giorni abbiamo registrato un numero crescente di casi, i cento posti disponibili non ci bastano più, e i 19 di terapia intensiva sono tutti occupati, l’epidemia è cresciuta rapidamente nel focolaio di Nembro”. La strada è in salita. E più che le cure, oggi conta la salute pubblica e dunque la limitazione della diffusione. “Una medicina amara da inghiottire, ma non ci sono alternative”, è la conclusione del professor Massimo Galli.