Come se non fosse già sufficiente la questione del “salto di specie” di virus da animale a uomo, (come è accaduto con il Coronoavirus-19, che dal pipistrello, si sospetta abbia colonizzato un altro animale e da lì l’uomo), potenziali rischi di pandemie da agenti patogeni sconosciuti vengono anche da un settore della ricerca scientifica, chiamata Gain-of Function (GoF). Si occupa di “ingegnerizzare”, in laboratorio, il genoma di virus presenti negli animali in natura, con alcuni geni di virus diversi, nel tentativo di prevederne le future mutazioni e capire se potrebbero comportare salti di specie dall’animale all’uomo, e quanto potrebbero essere virulenti ed efficienti nel trasmettersi nella popolazione umana. È un campo controverso, quello della ricerca GoF, sia per la pericolosità che la creazione in laboratorio di nuovi patogeni pone, sia per la mancanza di trasparenza e di controllo da parte della società civile, specie in paesi poco trasparenti per definizione, come la Cina o la Russia. Ma anche gli Usa. Spesso si tratta di ricerche in ambito militare o secretate per questioni di sicurezza nazionale, oppure finanziate con fondi pubblici a seguito della pubblicazione di bandi, ma in assenza di una reale ed affidabile valutazione del rischio.
La controversia sugli esperimenti GoF è tornata alla ribalta proprio a seguito dell’attuale epidemia di Coronavirus. Nel 2015, infatti, una ricerca scientifica pubblicata sulla rivista internazionale Nature Medicine riportava i risultati di un esperimento che aveva condotto alla creazione di un chimera-virus, cioé una versione ibrida tra un ceppo di Coronavirus originariamente del pipistrello (l’SHC014) e uno simile a quello che causa la Sars nell’uomo (Sindrome respiratoria acuta grave). Il virus così creato mostrava di essere in grado di infettare le cellule delle vie respiratorie umane.
Tra gli autori di quello studio, oltre a ricercatori Usa, anche colleghi cinesi di un laboratorio di Biosicurezza e patogeni speciali situato proprio a Wuhan, in Cina (dove alcuni lavorano tutt’ora). Secondo la rivista Nature si tratta di un centro dove vengono studiati i “patogeni più pericolosi al mondo”. E Wuhan è la città dove un mese e mezzo fa, a distanza di quattro anni dalla pubblicazione di quello studio, è scoppiata l’epidemia. Nel 2015, molti virologi misero in discussione la reale necessità di tali esperimenti in termini di progresso della conoscenza medica, se paragonata ai rischi. “Se il virus fuoriscisse dal laboratorio, nessuno potrebbe prevederne la traiettoria (di diffusione, ndr),” aveva commentato Simon Wain-Hobson, virologo all’Istituto Pasteur di Parigi, Francia. Hobson aveva sottolineato che quel virus “ingegnerizzato” in laboratorio “prolifica in maniera incredibilmente efficiente nelle cellule umane.”
Allo scoppio dell’attuale epidemia di Coronavirus in Cina, in molti si sono chiesti se, come accaduto altre volte in passato, non ci sia proprio un incidente, una fuoriuscita del virus chimera da quel laboratorio di Wuhan, all’origine dell’attuale infezione. Alcuni scienziati hanno appena pubblicato una ricerca sulla possibile origine del Coronavirus-19, cercando di rispondere anche a questa domanda. Per quanto possa apparire complottista, ha evidentemente un suo fondamento scientifico. Ed anche etico. La ricerca conclude che, dall’osservazione attenta del genoma dell’attuale Covid-19 e quello “ingegnerizzato” nel laboratorio di Whuan non ci sia abbastanza relazione genetica da giustificare tali sospetti e il conseguente allarme. “È improbabile che abbia avuto origine da una manipolazione in laboratorio”, spiegano gli autori. Sebbene non escludano del tutto la possibilità.
La probabilità che un incidente di laboratorio inneschi un’epidemia è molto difficile da prevedere, così come è difficile farlo per eventuali scoperte utili all’umanità a cui potrebbero condurre gli esperimenti GoF. Chi li conduce e li finanzia sostiene che possano facilitare lo sviluppo di vaccini per future pandemie. Ma come spiega Ian Mackay, virologo dell’università del Queensland in Australia, alla rivista medica The Lancet “non siamo neanche in grado di prevedere come muteranno le influenze stagionali, da una stagione all’altra, figuriamoci prevedere come potrebbe mutare un virus presente in natura, per effetto dei salti di specie. Abbiamo vaccini per l’influenza che non sempre sono efficaci – spiega il virrologo – e invece di concentrarsi sui virus che già conosciamo e migliorare i vaccini attuali, c’è gente che preferisce preoccuparsi di virus che non sono ancora divenuti trasmissibili (da uomo a uomo, ndr) e che non abbiamo alcuna idea se mai lo saranno.”
L’attenzione per questo genere di ricerche è cresciuta nel 2014 a seguito di un incidente nel laboratori del Centre for Disease Control (Cdc) americano. Diverse violazioni alle procedure che regolano la manipolazione e conservazione di agenti patogeni in laboratorio, provocarono l’esposizione di almeno 86 impiegati del Cdc nientemeno che all’antrace. Questo sollevò la reazione dell’opinione pubblica che poi si tradusse nella sospensione, negli Usa, di tali esperimenti, fintanto che il Comitato Scientifico nazionale americano per la Biosicurezza (Nsabb) non avesse valutato attentamente la situazione e proposto nuove linee guida per la selezione e finanziamento di ricerche in questo ambito. Nel 2018, sono state formulate nuove linee guida che sostanzialmente prevedono la valutazione caso per caso di ogni singolo esperimento proposto, per mano di team di esperti e niente di più. La moratoria, dunque, è stata tolta nel 2018. Se negli Usa una maggiore trasparenza è stata forse raggiunta, nessuno garantisce cosa possa accadere nel resto del mondo, specie in paesi dove la democrazia non è di casa. Nel 2018, la rivista The Lancet ricorda che anche negli Usa le statistiche sul numero di violazioni ai protocolli di biosicurezza nei circa 1500 laboratori autorizzati a condurre tali ricerche è, tuttora, praticamente sconosciuta.