Poche persone in giro, volti preoccupati. Questa l’aria che si respirava ieri a Nembro nella Bassa Valseriana. Qui il Covid-19 corre più che nel Lodigiano. Ancora ieri i contagi sono aumentati passando a 423. Regione Lombardia ormai ha pochi dubbi: qui bisogna costituire una seconda zona rossa. La posizione è stata comunicata al governo che deciderà entro oggi. Ma non è facile, soprattutto per l’ordine pubblico. Qui, a differenza delle aree attorno a Codogno, ci si trova davanti a un territorio altamente urbanizzato, almeno quello che da Nembro corre a sud verso Bergamo. Ogni paese si incrocia. Qui i confini li tracciano rotonde e semafori. Se abiti a Seriate, può capitare che il tuo panettiere stia a duecento metri in un altro comune. I check point per controllare 25 mila persone sarebbero invasivi in modo del tutto differente rispetto al Basso lodigiano dove ogni paese è distanziato da pianure di campi coltivati.
Il rischio è di avere una zona molto abitata completamente militarizzata. “Qui da noi – ha spiegato il sindaco di Alzano Lombardo Camillo Bertocchi – la popolazione si sente già dentro a una zona, la gente è spaventata”. Anche ieri i contagi sono aumentati: +51 rispetto ai 129 di due giorni fa. E come per Codogno anche qui il volano del contagio è rappresentato da una struttura sanitaria. I primi quattro morti sono passati per il pronto soccorso di Alzano Lombardo a pochi chilometri da Nembro. Da qui il virus si è propagato. Con l’epidemia che ha colpito subito gli operatori sanitari. Tra questi, oltre a una ginecologa, anche il primario dell’ospedale, il quale, dopo un ricovero, è stato messo in quarantena domiciliare. Stesso copione per l’ospedale Bolognini di Seriate eletto a presidio dedicato per il Covid-19. Qui 50 operatori sanitari sono positivi. E nonostante il presidio sia ormai operativo sul Covid-19 non sono stati aggiunti posti letto. Cosa avvenuta a Lovere e Piario. Non toccate le strutture di Gazzaniga e Calcinate perché non hanno il pronto soccorso. Ma è a Nembro la situazione più critica. “Siamo in prima linea, nessuno ci aiuta. Dalla Ast non ci forniscono i presidi e ci dicono che ci faranno sapere come comportarci qualora dovessero istituire la zona rossa”, è lo sfogo della responsabile di una cooperativa che offre assistenza domiciliare a 400 malati di Nembro. “Ci dicono di avere le mascherine ma non le hanno distribuite. Non so per quanto potremo andare avanti”. La situazione è critica, qua ma anche all’ospedale papa Giovanni XXIII di Bergamo. Da ieri il direttore generale è positivo al virus. Qui vengono curati i 37 casi più gravi, con età compresa tra i 35 e gli 81 anni, mentre il neonato ricoverato continua a migliorare. A livello regionale ieri i casi positivi erano 1.820, di questi 877 in ospedale e 209 in terapia intensiva, vero nodo critico del comparto sanitario. La Regione Lombardia ha ribadito che non esiste un piano governativo per la terapia intensiva, ma solo una affannosa corsa a dotarsi di tutti gli strumenti per aprire nuovi posti. Talmente carenti che se ne cerca anche uno alla volta chiudendo circa il 70% delle sale operatorie e rimandando gli interventi già programmati. La rincorsa è dovuta anche all’aumento dei decessi passati dai 55 di martedì a 73 di ieri. Si comprano ventilatori polmonari (68), caschi per l’ossigeno (507), letti (63), e poi monitoraggi, saturimetri, radiografi, defibrillatori. La lista è lunga, tutto serve per allestire nuove terapie intensive, e la mancanza di tutto restituisce un quadro allarmante. Anche perché gli strumenti non bastano. Serve il personale. E come scritto dal Fatto due giorni fa, in Lombardia mancano 400 tra anestesisti e rianimatori. L’assessore Gallera ha ritoccato la cifra a 500 e aggiunto la mancanza di mille infermieri. A Milano i contagi sono 150. L’ultimo è un anestesista all’ospedale San Carlo. Già sottoposti al tampone gli operatori sanitari. Il San Carlo è una delle strutture più ricettive della città.