La sanità lombarda è nel panico. E a farne le spese è soprattutto il personale sanitario. Sembrano di un’altra era geologica le frasi pronunciate a giugno dall’assessore al Welfare, Giulio Gallera: “L’eccellenza lombarda al servizio del Paese!”. Poi arriva la grande emergenza e viene fuori che non sanno dove mettere neppure i pazienti di Casalpusterlengo, figuriamoci quelli del resto d’Italia.
Bisognava pensare ai pronto soccorso. “Sono andata al Sacco perché avevo i sintomi, ho un mio familiare col Coronavirus e mi hanno messa in una specie di scantinato. Eravamo poche persone, ognuna seduta in un angolo diverso della stanza, con delle coperte addosso”, mi ha raccontato una ragazza poi risultata negativa al test. Nel pronto soccorso di Cremona finivano indistintamente quelli con i sintomi del virus e quelli con una gamba rotta. A Crema, una sera, si sono ritrovati con 98 pazienti da gestire, perché Gallera ha deciso che quello – mica il San Raffaele – sarà l’ospedale dell’emergenza Coronavirus. Ed è così che ci sono già decine di medici ammalati, infermiere intubate, anestesisti-rianimatori in rianimazione. Uomini e donne che fanno turni massacranti, che non sono stati preparati, che si autogestiscono con coraggio. Lo racconta bene oggi questo anestesista di un grande ospedale di Milano in una lettera al nostro giornale.
Sono un anestesista rianimatore. Lavoro in un ospedale pubblico a Milano, periferico, di quelli forse un po’ dimessi, ma pur sempre un ospedale che fa parte di quella che viene definita l’eccellenza della sanità lombarda. Be’ (mi vergogno a dirlo), fino a qualche tempo fa pensavo che il Covid-19 fosse un po’ una montatura. Le solite influenze stagionali del paziente anziano pluripatologico che si complicano in polmoniti batteriche, che poi evolvono in insufficienza respiratoria e ci occupano il letto in terapia intensiva. Ho storto la bocca quando dalle terapie intensive dei grandi ospedali famosi della Lombardia ci hanno portato via pazienti (non affetti da Covid-19) al fine di liberare postazioni letto nel in terapia intensiva per probabili e future insufficienze respiratorie da Covid-19.
Fino a una settimana fa sorridevo, sapendo che quei posti erano in buona parte ancora liberi. Sabato notte vado al lavoro e scopro che quella realtà che avevo visto nei tg, letto sui giornali o che forse immaginavo appannaggio unicamente di grandi realtà ospedaliere, era sotto i miei occhi. Un paziente ricoverato da noi in terapia intensiva risulta positivo. E nel frattempo, nel pronto soccorso, arriva un altro paziente (più giovane, non il vecchietto malandato) con una sintomatologia che era lampante: febbre alta, insufficienza respiratoria. Era stato alle terme vicino a Bergamo. Ecco, ci siamo vestiti con i dispositivi di protezione individuale (ma nessuno ha mai fatto un corso su come vestirsi e svestirsi ) e siamo andati di corsa al pronto soccorso. Lì abbiamo scoperto che ‘i percorsi di sicurezza segnalati per il paziente sospetto’ decisi dai piani alti, in realtà avevano buchi nella sicurezza per l’ospedale. Forse nemmeno dall’alto si aspettavano una situazione così complessa. Quello che più mi ha fatto paura è stato scoprire sulla mia pelle (e su quella di colleghi infermieri ausiliari ambulanzieri) che non eravamo pronti ad affrontare una cosa così grossa, quelle riunioni in direzione con i primari erano servite a ben poco. E dopo tre giorni sono qui a chiedermi: la mascherina l’ho indossata bene? Perché gli occhiali di protezione si appannavano? Mi sono tolto i guanti nella maniera corretta?
Perché io e miei infermieri quel paziente risultato positivo lo abbiamo intubato accessoriato (termine tecnico) e trasportato. Tutte manovre a grande rischio. E quella che fino ad ora per me, su di me è una normale tosse, un banale raffreddore (sarà il caldo, avrò preso freddo) spaventa. Quando sono a tavola e guardo la mia compagna, che mi sorride ingenuamente (nel senso che non ha visto quello che questo virus può provocare sui polmoni di uno anche giovane e sano), prego che lei stia bene e spero di non attaccarle nulla. Spero che ci vada di culo. Noi che lavoriamo nella sanità in questo momento storico siamo appesi ad un filo e voglio dire una cosa: l’eccellenza della sanità lombarda è una balla mostruosa. Io, per dire, mi sono trovato con altre chiamate urgenti nella notte, ma erano finiti i dispositivi di sicurezza individuali, avevano fatto male i conti. O per farti un altro esempio, solo a distanza di tre giorni il mio nome stato segnalato come personale a contatto con il caso xy positivo per Covid-19 in direzione. Nessuno della direzione ha contattato noi operatori, e mi chiedo se, forse, la mia vita valga meno di quella del signor Fontana che di certo non ha messo le mani in bocca ad uno che non respira ed è positivo per il Covid-19. Sono arrabbiato contro questa sanità pubblica che è stata depauperata per favorire una sanità privata anche da gente come il signor Fontana che nemmeno sa mettersi una mascherina chirurgica in maniera corretta a favore di telecamera. Sono arrabbiato. E spero solo di avere davanti a me tutto il tempo per farmela passare.