“L’epidemia del coronavirus è arrivata anche in Germania”, ha detto il ministro della Salute tedesco Jens Spahn mercoledì. “Il picco della diffusione tuttavia non è ancora stato raggiunto” e nessuno può prevedere quando arriverà. Parole nette, ma il panico non scatta. Le dichiarazioni per qualche ora campeggiano alte tra le notizie dei principali media tedeschi, poi scivolano in secondo piano. Sulla stampa di ieri la Faz titola sull’elezione del ministro-presidente della Turingia e sui migranti al confine tra Grecia e Turchia, relegando il coronavirus in un editoriale, mentre la Süddeutsche Zeitung apre sul duello Biden-Sanders. Solo di Die Welt e Bild titolano sul virus. Il Covid-19 in Germania c’è, ma non si vede. La sortita di Spahn, del resto, non è la prima. Il ministro non minimizza il pericolo, ma il messaggio che passa è rassicurante: “Siamo preparati, vogliamo agire con accortezza”. Misure draconiane (chiusura delle frontiere o il blocco delle lezioni ) non sono adeguate al momento. Si deciderà caso per caso.
Nel frattempo però i casi aumentano in modo esponenziale. Il presidente dell’istituto epidemiologico di Berlino, il Robert Koch Institut, aggiorna i dati della diffusione del contagio: in 24 ore 100 nuovi casi accertati, il totale arriva a 400. La regione più colpita è il Nordreno-Westfalia, con 175 pazienti, e soprattutto nel distretto di Heinsberg, dove si è a lungo cercato il paziente zero. Ma è a Monaco che potrebbe essere individuato il primo paziente europeo – cosa che ha provocato nel nostro paese un senso di rivalsa nell’eterno match Italia-Germania – secondo una lettera di medici tedeschi pubblicata sul New England Journal of Medicine il 5 marzo. Un 33enne di Monaco ha contratto il virus il 24 gennaio durante un gruppo di lavoro alla Webasto, la società tedesca di componentistica per auto che ha una filiale a Wuhan. L’uomo aveva avuto contatti con una collega di Shanghai (con genitori di Wuhan), che si è ammalata durante il ritorno in patria. È possibile, rileva Trevor Bedford, l’epidemiologo che ha reso nota una mappatura genetica del virus pubblicata sul sito Netxstrain, che il focolaio tedesco abbia alimentato la catena di diffusione in Europa, ma in un tweet ha specificato: “La mia non è una constatazione definitiva”.
I casi sommersi “ci sono, come sempre in ogni malattia – ha affermato Wieler, presidente del Koch – ma non credo siano un numero rilevante”. Solo la settimana scorsa sono stati eseguiti 11 mila tamponi (procedura standard: se si hanno sintomi e si è entrati in contatto con qualcuno a rischio nei 14 giorni precedenti, allora lo si deve eseguire) e il numero complessivo è atteso per il fine settimana, ha detto all’Ansa la Kassenaerzlichen Bundesvereinigung, un’importante associazione di rappresentanza dei medici. La raccolta dati è complicata in un sistema che prevede un mix di assistenza pubblica e privata. Per verificare i “casi sommersi” l’istituto Koch usa una rete di 7.000 “studi medici-sentinella” sparsi in tutto il territorio. Ma da qui non è arrivato alcun segnale significativo, ha sottolineato Wieler.
Un piano tedesco in caso di pandemia c’è e non c’è. Esiste un piano pandemico per l’influenza, come prescrive l’Oms, che dovrà però essere riadattato al coronavirus. Intanto dall’istituto precisano che da ottobre l’influenza in Germania ha colpito 119.280 persone, con 202 morti, l’87% dei quali sopra i 60 anni. In ogni caso la tensione in Germania sta salendo. Lo dimostra la centralizzazione da parte dello Stato degli acquisti di mascherine, visiere, respiratori e il blocco dell’export di questi strumenti. Si vuole assicurare che ospedali, personale sanitario e studi medici siano “coperti” prima del sempre possibile “assalto alla diligenza”.