“La malattia è il lato notturno della vita, una cittadinanza più onerosa”, scriveva Susan Sontag ne La malattia come metafora. “Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno dello star bene e in quello dello star male. Preferiremmo tutti servirci soltanto del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell’altro paese”. È difficile avere a che fare con la malattia. Complicato conviverci. Accettarne anche solo la possibilità – almeno all’inizio –, impossibile. Ecco perché nei giorni scorsi poteva farci tirare un sospiro di sollievo, strapparci pure un sorriso, il vedere i ragazzi fuori, i Navigli brulicanti di aperitivi, i parchi presi d’assalto: per la serie, c’è vita! Per la serie, Burioni di tutto il mondo non ci avrete! Per la serie, figurati se ‘sta sfiga colpisce proprio me! Per la serie, Milano non si ferma! Eppure arriva un momento in cui la malattia, che sia un male antico o che entri improvvisamente nelle nostre vite come il Coronavirus, si trasforma in un’entità letale e multiforme. A renderla tale, giorno dopo giorno, sono le parole che filtrano dagli scafandri dei medici delle terapie intensive. Bergamo, Lodi, Niguarda, ospedale di Cremona, il copione – straziante – si ripete: “Guerra biologica”, “Catastrofe”. Lacrime. Morti. Perché i morti ci sono, anche se noi non li vediamo. In un certo senso è come nei libri di storia militare. La malattia diventa un nemico informe, sempre più aggressivo e che non riconosce il passare del tempo. Ma se il nemico siamo noi?
Milano è la mia città. È lì che sono nata, cresciuta. È lì che ho la mia famiglia, i miei amici più cari. Le immagini della grande fuga di sabato notte (in tutto 20mila persone, altro che 150), di tutti al Parco Sempione domenica, delle code in Centrale ieri, dimostrano come Milano, al di là delle narrazioni autocelebrative, deve aver dimenticato da un pezzo di essere stata la “capitale morale”. E a pagare il prezzo di tanta irresponsabilità potrebbe essere l’intero Paese. “A mali estremi, rimedi estremi o niente. Se no, meglio lasciarli come sono”. William Shakespeare, Amleto
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