Mi manca il traffico di Roma, eterno come la città eterna, domestico come la lavastoviglie che allaga la cucina, recidivante come un herpes, la solita rottura uffa a cui ti sei tanto affezionato. Mi manca l’ingorgo di piazza Venezia, dove ognuno fa come gli pare ‘aho datti una mossa e guarda questo che sta ancora a dormì ma che cz te suoni’.
Mi mancano le baruffe sulla sindaca Raggi (se sei così bravo fatti eleggere tu). Mi mancano le gimcane tra i sampietrini assassini, quelli dei cantieri che levano e mettono, che mettono e levano (chissà chi ci sta a magnà sopra). Mi mancano le code sul Lungotevere, le pigre attese in compagnia delle sei o sette radio della As Roma (ma Pastore chi se lo accolla?). Mi mancano le strisce di asfalto transennato (perché non li fanno di notte ’sti lavori), mi manca l’odore acre del bitume che evapora sotto il sole che quest’anno è già arrivata primavera. Mi mancano i lavavetri ai semafori (t’ho detto de nooo) che poi un euro lo rimediano sempre. Mi manca il solito casino perché oggi (come ieri e come domani) si cammina veloce. E ai semafori il verde scatta subito come se fosse una formalità, prego passa pure. E in piazza Venezia non c’è proprio nessuno, mormora il tassista come se gli fosse venuto a mancare un parente stretto. E i cerchioni non baccagliano più coi sampietrini. E le radio del calcio che non c’è, non sanno più cosa raccontarmi. E dove sono finiti i lavavetri che quando servono non ci stanno mai? E quando mi restituiranno il disordine primigenio, eccitante, indisponente di quella caotica materia pulsante chiamata Roma, chiamata vita?