Conte, un discorso da uomo dello Stato

13 Marzo 2020

C’è un governo, c’è una Costituzione, e c’è una comunità. Non era scontato. Mercoledì sera Giuseppe Conte ne ha affermato la presenza e la forza con un discorso perfetto. I cittadini, storditi dalla violenza del virus e dal suo impatto sulla vita quotidiana, sono stati convocati e hanno ascoltato una dichiarazione solenne, fatta in tono grave ma non terrorizzante, sulle decisioni prese in forza della Costituzione a difesa di tutti.

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È stato un discorso incentrato sull’ethos, sull’etica degli italiani, che è il caso di smettere di criminalizzare per aver cercato di raggiungere la propria casa e la propria famiglia, sottraendosi all’incertezza su some mangiare e curarsi nel caso, poi verificatosi, della sospensione dei lavori senza tutela. Al ringraziamento ai medici e agli operatori sanitari è seguito il ringraziamento agli italiani responsabili, a cui tutto il mondo guarda. La reiterazione su questo aspetto è notevole: “Ci guardano… ci apprezzano… ci guarderanno… ci ammireranno… ci prenderanno come esempio”.

Mentre gli altri leader europei tentennano o minimizzano, e Trump addirittura si comporta da negazionista occultatore (salvo poi evocare i pieni poteri federali per intestarsi una battaglia di cui fino a ieri diceva non ci fosse bisogno), Conte ha invertito la retorica che ci vuole untori d’Europa e ha affermato la verità del caso, ciò che Machiavelli chiamava “fortuna” e vedeva come un fiume in piena che straripa devastando tutto ciò che incontra, essendo compito dello statista arginarlo esercitando la virtù. Le nostre traversie, che sono costate vite umane, non saranno considerate “errori”, come vanno dicendo alcuni avvelenatori di pozzi, ma varranno come esperienza – clinica, medica, epidemiologica e politica – per quando il fiume travolgerà gli altri. Politicamente, Conte è riuscito a comunicare, a mettere in comune, un bene prezioso che pareva perduto: la fiducia. Governare in questo momento coincide col governare il caos. La risolutezza non ha niente a che vedere con l’arbitrio dei pieni poteri e con la retorica dell’uomo solo al comando: Conte ha comunicato fiducia perché è arrivato a una risoluzione più drastica dopo aver ascoltato il capo della Protezione civile e quello dell’Iss – di cui ha tradotto l’allarme in forza di diritto – i presidenti di regione, gli alleati e l’opposizione.

Ovvio che i dati angoscianti di mercoledì, nel giorno in cui l’Oms ha dichiarato la pandemia, non hanno avuto un ruolo nella decisione di una chiusura ulteriore: il decreto di martedì non avrebbe potuto produrre ancora i suoi effetti (i positivi di mercoledì erano i contagiati di 6-14 giorni prima), così come la crescita presumibile dei contagi nei prossimi 14 giorni non dipenderà dai due decreti, che erano l’uno il prodromo dell’altro. Ma serviva che Conte responsabilizzasse i cittadini e le aziende, tenute “a proteggere i propri lavoratori”, sul primo fronte, quello del contenimento dei contagi, comprendendo lo spaesamento per la perdita temporanea di quelle “amate libertà” che sapevamo acquisite (è il disagio della civiltà secondo Freud: rinunciare a quote di libertà per quote di sicurezza, in questo caso di incolumità personale e collettiva e di tenuta del sistema sanitario). Perciò ha parlato in prima persona: “Ho fatto un patto con la mia coscienza. Al primo posto c’è e ci sarà sempre la salute degli italiani”: sembra un passaggio irrilevante, invece vale come un giuramento sull’art. 32 della Costituzione; con esso si è assunto la responsabilità personale di una decisione presa e comunicata in rappresentanza dello Stato.

Per averne percezione basta immaginare che mercoledì sera in diretta al posto di Conte ci fosse Salvini, come sarebbe stato se fossimo andati a elezioni dopo la crisi di agosto, o qualche leaderino di Twitter convinto di essere Kennedy. Insomma qualcuno di totalmente incredibile, nel senso letterale della parola, uno di cui a fine discorso ci saremmo chiesti: chissà se ha agito per il bene collettivo e avendo piena contezza della situazione, oppure per capitalizzare il consenso, per narcisismo o per regolare conti personali.

Essere uomo di Stato è diverso dall’essere uomo della Provvidenza: ne è anzi l’opposto. L’uomo della Provvidenza è Berlusconi che mette lo spumante nei frigoriferi delle casette de L’Aquila; è Salvini che tiene qualche decina di disgraziati su un barcone millantando di aver salvato la patria da un’invasione. Forse ci basta che a capo del governo in questo momento orribile non ci sia uno psicopatico, ma abbiamo avuto di più: la certezza che c’è un uomo di Stato che con razionalità e con visibile commozione sta cercando di portare il Paese fuori da questa calamità.

Ps. La chiosa, “rimaniamo distanti oggi per abbracciarci con più calore”, ricorda i versi dell’Ecclesiaste: “C’è un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci”. Forza tutti.

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