In ventiquattr’ore 313 infettati in più tra medici e infermieri. Domenica erano 2.026, ieri sono saliti a 2.339.
Numeri ufficiali: arrivano dal bollettino giornaliero dell’Istituto superiore della sanità e riguardano tutto il Paese. Nel solo Piemonte, nel fine settimana, i medici contagiati sarebbero raddoppiati: da una cinquantina a circa cento. Fino ad arrivare al commissariamento dell’Asl Torino5 (Chieri, Carmagnola, Moncalieri e Nichelino), i cui vertici sono stati travolti dai contagi: tutti positivi al Covid-19, dal direttore generale in giù. Fino ad arrivare alla turnazione costante nei reparti rianimazione, “perché ogni volta si riscontrano positività, e allora scatta l’avvicendamento”, dice Chiara Rivetti, segretaria regionale dell’Anaao, il sindacato dei medici dirigenti. In Piemonte nel caos hanno cominciato a cadere anche le prime teste, come quella del coordinatore dell’unità di crisi, sostituito in corsa dal governatore Alberto Cirio.
Nel frattempo, mentre nelle varie Procure i sindacati dei medici ieri presentavano esposti per la violazione della legge 81 del 2008 sulla sicurezza sul lavoro (così in Emilia-Romagna, così in Calabria e nel Lazio che hanno seguito l’esempio dell’Anaao del Piemonte), partivano lettere di diffida come quella, intersindacale, arrivata in Veneto alle aziende sanitarie. Tutto per l’articolo 7 del decreto 14 del premier Conte, che ha cancellato la quarantena per il personale asintomatico entrato in contatto con un soggetto a rischio. E per quella mancanza di dispositivi di protezione individuale, a partire dalle mascherine Ffp2 e Ffp3, che sta mandando in tilt il sistema. “In Lombardia abbiamo due o tre giorni di autonomia, poi non ci saranno più i presidi necessari per assistere i pazienti”, dice Cristina Mascherini, presidente regionale di Aaroi Emac, l’associazione degli anestesisti e rianimatori, che si è appellata anche al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
I medici, gli infermieri, sono in rivolta. Anche perché se si vogliono spacchettare i dati aggregati sul numero degli operatori sanitari infettati, ci si ferma di fronte al silenzio. Le aziende sanitarie locali, le Regioni, denunciano gli operatori, non forniscono i numeri. “A oggi la Regione Emilia-Romagna non ha comunicato il numero dei medici contagiati posti in quarantena”, ha scritto ieri, all’assessore emiliano alla Salute Raffaele Donini, il presidente dell’ordine dei medici di Bologna Giancarlo Pizza. Lettera aspra, a nome di tutti gli Ordini della regione: “Il personale medico e sanitario sta dando una grande prova di professionalità, con spirito di abnegazione e sacrificio. Sacrificio che non deve però arrivare all’eroismo o peggio ancora al rischio per la propria integrità psico-fisica”. Ma il no delle Asl e delle Regioni a comunicare i dati sul personale contagiato – spesso viene eretto il muro della privacy – riguarda tutta l’Italia, non certo solo l’Emilia-Romagna. Adesso l’esercito si è detto pronto a mettere a disposizione le maschere che produce per trovarsi preparato in caso di attacchi batteriologici. Nome in codice: Anti Nbc-M90. “E anche se non sappiamo di cosa si tratta esattamente rispondiamo: magari – dice Giuseppina Onotri, segretario regionale dello Smi, sindacato medici italiani – Perché adesso tutti stiamo ricorrendo al fai-da-te. I colleghi, le mascherine se le fanno da soli, con la carta da forno o i lenzuolini verdi per le medicazioni”.
C’è poi sempre, drammatica, la questione dei tamponi. E se c’è una cosa che non va giù agli operatori sanitari, è che “personaggi pubblici e calciatori risultino positivi al Covid perché sottoposti a tamponi in assenza di sintomi”, mentre ai “medici e ai sanitari non vengono più fatti”. Tutto nero su bianco in una lettera al premier Giuseppe Conte, al ministro della Salute Roberto Speranza, al capo dipartimento della Protezione civile. Il governo, con il decreto Cura Italia, ha promesso cinquemila medici, diecimila infermieri. Ma per gli operatori non basteranno.