Se l’Ue cambia lo si vedrà sul fondo salva-Stati

Di Maurizio Acerbo
21 Marzo 2020

La vicenda del Mes è il banco di prova tra chi vuole cambiare e chi vuole continuare sulla vecchia strada.

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Di fronte al contagio gli alfieri dell’austerity neoliberista sono diventati tutti a parole sostenitori della spesa pubblica, lo sforamento dei parametri di Maastricht e del Fiscal Compact è diventa sacrosanto e la sanità pubblica centrale. Nessuno chiede scusa per il pareggio di bilancio in Costituzione, il taglio di 37 miliardi alla sanità, le riforme che hanno reso più povero il nostro Paese. Ora con il bazooka da 750 miliardi della Lagarde anche la Troika sembra redenta. Meglio evitare facili illusioni. Non è scontato che il ravvedimento sia operoso. Partiamo dagli stanziamenti annunciati. La lezione del 2013/14 è che la speculazione si ferma solo se la Bce interviene in forme potenzialmente illimitate come ha già fatto in passato. Altrimenti i 750 miliardi fissano il limite del terreno di gioco della speculazione ma non la impediscono. Vi è il concreto rischio che il finanziamento delle spese necessarie per far fronte all’emergenza avvenga in cambio di ulteriori obblighi a privatizzare e tagliare. Continua il lavorio per imporre il Mes. Dire che è senza condizioni è un falso perché bisognerebbe riscrivere il Trattato e la sua condizionalità è nella sua natura di prestito e di fondo da rifinanziare. Per altro si parla di una cifra risicata. Il problema non può essere aggirato. Il deficit chi lo paga e con quali tassi di interesse? Bisogna spendere oggi in deficit e più di quanto stia facendo il governo, ma non accettando di tagliare di nuovo e di più domani. Per farlo è necessario mettere da parte il Patto di Stabilità, mandare in soffitta il Mes e che sia la Bce a finanziare un piano europeo come minimo da 1.000 miliardi all’anno a tasso zero con scadenza a 100 anni per sanità pubblica, emergenza economica, riconversione ambientale. Questa sarebbe una svolta reale.

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