Nei lontani anni 80, la matita di Tullio Pericoli e i testi di Emanuele Pirella crearono una striscia irresistibile dal titolo: “Tutti da Fulvia il sabato sera”, che faceva il verso a un certo salottume progressista, una fiera delle vanità piuttosto vana, prodiga di sublimi imbecillità che la padrona di casa ripeteva esultando con le braccia al cielo. Per esempio, un direttore con prestigiosa barba bianca asseriva che i veri poeti contemporanei sono i pubblicitari e subito Fulvia ebbra gongolava: “I pubblicitari! I pubblicitari!”. La strepitosa riedizione di Madame Verdurin mi è tornata in mente ascoltando ogni mattina nelle rassegne stampa le immaginifiche (e talvolta bislacche) proposte escogitate da politici e retroscenisti in quarantena forzata. Con tanto di eco.
Per esempio: “Occorre un governo di Unità nazionale”. Nazionale! Nazionale! Oppure: “Creare un Gabinetto di guerra”. Di guerra! Di guerra! Ma anche: “Si proceda al coprifuoco affidato all’Esercito”. All’Esercito! All’Esercito! Fino al gettonatissimo: “I giapponesi si curano con l’Avigan”. Avigan! Avigan! Nel salotto delle congetture incrociate non poteva certo mancare l’eterno ritorno dell’identico: il “Qui ci vuole Draghi”. Ed ecco che all’unisono sono tante le Fulvie che invocano rapite dai loro sofà, con le braccia al cielo: “Ci vuole Draghi! Ci vuole Draghi!”. C’è da giurarci, sul Salvatore della Patria, sull’Uomo della Provvidenza (suo malgrado) si disegneranno arabeschi e strategie. Tanto, chiusi in casa qualcosa bisogna pur fare. Sulla Fulvia originale scrisse Oreste del Buono che ai leggiadri raduni partecipavano: “Tutti quelli che contano qualcosa e credono di contare di più, quelli che non contano nulla, ma si comportano come se contassero, quelli che forse hanno contato ma non contano da un pezzo e cominciano addirittura a sospettare di non aver contato mai”. Ecco.