Nei momenti di crisi vengono a galla i fondamentali, anche dell’economia. La ricetta illustrata da Mario Draghi sul Financial Times riporta al centro l’unico modo con cui il capitalismo ha salvato se stesso nei suoi oltre 150 anni di esistenza. L’intervento del debito pubblico, la liquidità, l’utilizzo delle banche “come veicolo di politiche pubbliche” con una consapevolezza essenziale: “I debiti pubblici cresceranno, ma l’alternativa – la distruzione permanente della capacità produttiva e quindi della base fiscale – sarebbe molto più dannosa”.
L’avvertimento, salutato positivamente da destra e da sinistra in una consacrazione collettiva dell’ex presidente della Bce (dalle conseguenze politiche che vedremo nel prossimo periodo), è diventato già una norma consuetudinaria, un “lodo” che difficilmente potrà essere ignorato.
Quel che è importante è che non l’abbia ignorato il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, che alle parole di Draghi si è allineato con convinzione prendendo impegni: “Come giustamente richiamato da Draghi, a fianco di interventi di sostegno al reddito occorre mettere a disposizione ingenti garanzie pubbliche per consentire al sistema finanziario di erogare alle imprese tutta la liquidità necessaria per sostenere il sistema economico nella crisi”.
Conte ha ieri annunciato che con il prossimo decreto economico di aprile si arriverà a un intervento complessivo “non inferiore” ai 50 miliardi (25+25). Probabilmente saranno di più. È abbastanza?
Sul Fatto abbiamo osservato che quello italiano è inferiore agli sforzi degli altri Paesi anche se va precisato che il paragone in termini di incidenza sul Pil e con misure omogenee non vede sfigurare l’Italia.
L’Italia ha già messo sul tavolo 25 miliardi validi per un mese che stanno per essere raddoppiati, sforzo che ieri Morgan Stanley ha stimato in circa il 3% del Pil: “In linea di massima – scrive la banca d’affari – si tratterà di un pacchetto di stimoli simile a quello della Germania”. Che ha un Pil superiore dell’88% a quello italiano e sul quale i 156 miliardi di aiuti diretti, di cui 122 a debito, peserebbero per il 4,7% o, calcolando solo la parte a debito, per il 3,6%.
Se addirittura valessero i calcoli che vengono fatti all’Economia, che valuta solo 67,5 miliardi di miliardi immediatamente stanziati e quindi effettivamente confrontabili con i 20 miliardi italiani scaturiti dal debito, si avrebbe un confronto tra un impegno tedesco all’1,9% del Pil e uno italiano all’1,1%. Ma bisognerà vedere quali altri stanziamenti saranno fatti dagli altri Paesi e dall’Italia.
Soddisfa di più il confronto con la Francia che nei 45 miliardi di misure economiche contiene anche una quota di rinvii fiscali che l’Italia non ha conteggiato nei 25 miliardi stanziati ed è buono quello con la Spagna che, in termini di soldi freschi, stanzia 20 miliardi, ma va detto che Sánchez muove 100 miliardi di impegni a garanzia delle imprese.
Qui c’è un punto decisivo: in termini di garanzie alle imprese o, come in Germania, di fondi strutturali per intervenire direttamente in eventuali salvataggi economici, gli altri Paesi sono più avanti. Lo stanziamento tedesco supera ormai i mille miliardi, la Gran Bretagna è a 330, la Spagna a 100 miliardi e la Francia a 300.
“Con le misure già adottate – ha dichiarato ancora Gualtieri – e quelle in preparazione stiamo varando un sostegno alla liquidità basato su garanzie pubbliche che non ha precedenti e che è al livello delle iniziative più consistenti e ambiziose messe in campo in Europa”. Quindi, anche l’Italia dovrebbe allinearsi su questi valori con un intervento “senza precedenti”.
Come finanziare tutto questo sarà il problema di fondo. L’Italia sta già viaggiando verso un rapporto deficit/Pil a -4%, ma è chiaro che andrà oltre. Il rapporto debito/Pil, che oggi è al 134%, potrebbe veleggiare verso il 160% se non di più. L’idea di ricorrere al Mes sembra accantonata e gli eurobond appaiono gli unici strumenti per poter gestire una situazione di emergenza.
Ma anche quelli, alla fine, sia pure non cumulati sul debito sovrano, costituiscono forme di debito. A essere onesti ci vorrebbe un pizzico di fantasia in più, per quanto distruttiva di equilibri consolidati. Tanto più che la Ue, come si è visto ieri, preferisce dividersi piuttosto che trovare soluzioni utili.
Alla fine si torna al ruolo della Bce e alla sua capacità di fare il lavoro che spetta a tutte le banche: immettere denaro fresco nell’economia. Whatever it takes.