Ha forzato le procedure, “mentendo” sui sintomi degli anziani ospitati nella sua Rsa. In questo modo ha ottenuto che la Asl intervenisse facendo i tamponi a tappeto nella struttura. Ed è stato così, grazie a questo bluff, che s’è scoperto il potenziale focolaio: su 92 anziani, i soggetti positivi al Coronavirus erano 60. Uno su tre.
Jessica Veronica Faroni è la direttrice generale del gruppo Ini, che fra le sue cliniche annovera anche la Rsa Città Bianca di Veroli, in provincia di Frosinone. Qui, il 22 marzo scorso, la Asl ciociara ha trovato i primi 3 anziani pazienti positivi, dando il via all’indagine epidemiologica che alla fine ha visto il virus essersi diffuso su circa due terzi degli ospiti.
Alle mail rispondevano così: “I tamponi non servono”
Controlli sollecitati, dai vertici della clinica, andando oltre la “verità clinica” e parlando di sintomi più gravi di quelli che non fossero effettivamente. “Ho dovuto fare necessariamente questa forzatura, altrimenti non sarebbero mai venuti”, racconta Faroni al Fatto. “Da giorni segnalavo qualche caso sospetto – racconta – ma mi è stato sempre risposto che per effettuare i testi i sintomi dovevano essere chiari. Ho tanto di e-mail dove mi si dice che i tamponi non servono. Così dopo un paio di giorni abbiamo ricontattato la Asl, parlando di sintomi gravi e difficoltà respiratorie. Solo a quel punto sono venuti”. L’arrivo dei sanitari è stato provvidenziale. Perché ben 58 fra gli anziani ospiti erano positivi ma asintomatici, in due presentavano dei sintomi leggeri, mentre gli altri 32 non avevano contratto il virus.
“Se ho salvato qualcuno, sono felice di aver mentito”
Ora la Rsa Città Bianca è divenuta Covid Hospital, i negativi sono stati separati dai positivi. “Mi sono dovuta violentare, nel mentire alla Asl, perché non è nella mia indole, ma mi rende felice se tutto è servito a far star meglio anche una sola persona”, afferma Faroni, che aggiunge: “Quando leggo che i tamponi sono il vero sistema per salvare la gente, sono proprio contenta delle mie forzature”. E rivela: “Stiamo studiando il modo di far fare brevi passeggiate all’aperto, in totale sicurezza, ai positivi asintomatici. Stiamo raccogliendo pareri di esperti. La vitamina D può aiutare a superare l’infezione”.
È partita da una settimana l’indagine a tappeto della Asl
La Regione Lazio ha avviato una settimana fa un’indagine a tappeto nelle strutture per anziani. Sia quelle sanitarie, ben 112, sia le “case di riposo”, oltre 700. In totale, oltre 20.000 persone ricoverate in un migliaio di centri, di cui – stima l’associazione Anaste Lazio – un buon 25 per cento potrebbero essere abusivi. Esiste una fitta coltre attorno ai numeri degli anziani positivi. Ancora impossibile ottenere cifre ufficiali. Allwe erichieste del Fatto sulle stime dei decessi e dei contagi, infatti, soltanto la Asl Roma 1 (Roma nord-ovest) ha contribuito a ricostruire la situazione, parlando di 10 casi positivi su circa 1000 ospiti (“un centinaio” i tamponi effettuati). Le altre, invece, si sono trincerate dietro il silenzio istituzionale.
Ad oggi, sono 9 le strutture isolate dalla Regione Lazio. La situazione più grave alla Rsa Madonna del Rosario di Civitavecchia, con 43 infezioni su 60 anziani ospitati e ben 13 decessi; positivi anche 12 fra medici infermieri. Dramma anche alla casa di riposo Maria Immacolata di Nerola, dove hanno contratto il virus 56 residenti e 16 dipendenti: già 2 i decessi. La Asl Roma 5 ha trasferito i positivi al “centro Covid” del Nomentana Hospital, che ha protestato: “Abbiamo già troppi casi, ma poco personale e materiali: non siamo in grado di gestire l’emergenza”.