Cento anni fa (il 10 aprile 1920) nasceva Nilde Iotti. Insegnante, comunista, staffetta partigiana, bandiera dell’Udi, dirigente politico, membro dell’assemblea Costituente (e della commissione dei 75) parlamentare, la ricordiamo soprattutto per essere stata la prima donna a guidare la Camera dei deputati. La sua presidenza è stata la più longeva in assoluto, ben tre legislature (dal 1979 al 1992).
Sul sito della Biblioteca della Camera sono disponibili, raccolti in volume, i suoi discorsi parlamentari. Rileggerli oggi è un esercizio istruttivo (e sconsolante per quanto sono attuali). “Nella vecchia legislazione e nel vecchio costume del nostro Paese la famiglia ha mantenuto sinora una fisionomia che si può definire antidemocratica (…) Uno dei coniugi, la donna, era ed è tuttora legata a condizioni arretrate che la pongono in stato di inferiorità e fanno sì che la vita familiare sia per essa un peso e non fonte di gioia e aiuto per lo sviluppo della propria persona. Dal momento che alla donna è stata riconosciuta, nel campo politico, piena eguaglianza col diritto di voto attivo e passivo, ne consegue che la donna stessa dovrà essere emancipata dalle condizioni di arretratezza e di inferiorità in tutti i campi della vita sociale e restituita a una posizione giuridica tale da non menomare la sua personalità e la sua dignità di cittadina. A tale emancipazione è strettamente legato il diritto al lavoro da affermarsi per tutti i cittadini senza differenza di sesso” (8 ottobre 1946, I sottocommissione). In quella stessa seduta Umberto Merlin, avvocato eletto nella Dc, sostiene che non si può accettare lo stesso trattamento economico tra uomini e donne: “Non avviene mai”. Intervento della Iotti: “Non vedo perché non debba avvenire”. Oggi si chiama gender gap, ma è la stessa fregatura.
La premessa del discorso d’insediamento a Montecitorio (20 giugno 1979, in un momento drammatico per la storia d’Italia) è questa: “Vivo quasi in modo emblematico questo momento, avvertendo in esso un significato profondo, che supera la mia persona e investe milioni di donne che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci si sono aperte la strada verso la loro emancipazione. Essere stata una di loro e aver speso tanta parte del mio impegno di lavoro per il loro riscatto, per l’affermazione di una loro pari responsabilità sociale e umana, costituisce e costituirà sempre un motivo di orgoglio della mia vita”.
È successo qualcosa di significativo in questi quarant’anni? Nel 2018 l’Ufficio valutazione impatto del Senato ha diffuso un dossier sconfortante. Se in Assemblea costituente le donne erano 21 (ma a loro dobbiamo moltissimo, perché hanno avuto un peso determinante nel dibattito sui diritti sociali), nella prima legislatura (1948) su 982 parlamentari le donne erano il 5 per cento. Ci sono voluti trent’anni e 7 legislature per avere più di 50 donne al Parlamento (1976). Quota 100 è stata superata nel 1987 e quota 150 nel 2006. Su oltre 1500 incarichi di ministro le donne finora ne hanno ricoperti 78. Non ci sono state donne alla Presidenza del Consiglio, né alla Presidenza della Repubblica. Abbiamo avuto solo tre presidenti della Camera, una presidente del Senato e una presidente della Corte costituzionale.
In queste settimane non facciamo che guardare telegiornali e dirette dai palazzi del potere (centrale e locale). Quante donne avete visto prendere la parola per comunicare decisioni e informazioni sul momento difficile del Paese? Praticamente nessuna (anzi forse proprio nessuna). Dunque auguri Nilde: grazie per tutto quello che ci hai insegnato, per le battaglie e le conquiste. Purtroppo siamo ancora lontani da quel mondo che immaginavi gioiosamente paritario.