AMatteo Renzi che invoca commissioni parlamentari d’inchiesta su tutti quelli che gli stanno sulle scatole, ma insiste (lo faceva già in piena epidemia) sulla riapertura delle fabbriche (“chi le tiene chiuse fa perdere quote di mercato e questo significa licenziamenti”) suggeriamo caldamente la visione della puntata di Report (Rai3) di lunedì 6 aprile. Che andrebbe studiata nelle scuole di giornalismo per spiegare quale importanza può avere il servizio pubblico radiotelevisivo, quando è servizio pubblico. Perché nell’inchiesta di Giorgio Mottola sulla “zona grigia” del Bergamasco – dove si conta la più alta percentuale di ammalati e di morti in assoluto – lascia sconcertati, per non dire peggio, la campagna di “persuasione” condotta già a fine febbraio da Confindustria Lombardia. Culminata nell’hashtag #noilavoriamo, nel video trionfalistico yes, we work e nelle dichiarazioni rassicuranti del presidente, Marco Bonometti, sulla necessità di “abbassare i toni”. Vero è che ora l’associazione ammette che “visto con gli occhi di oggi quel video è stato un errore e ce ne scusiamo”. Ok, ma troppo tardi verrebbe da dire alla luce dei numeri, e dei lutti, che certo vanno soprattutto attribuiti a chi (Regione Lombardia) aveva il dovere di proclamare subito la zona rossa nella Val Seriana, e non quando il contagio si era fatto inarrestabile. “Una sottovalutazione – come ha detto il conduttore Sigfrido Ranucci – frutto di interessi personali ed economici”. Del resto, è lo stesso sindaco di Alzano Lombardo (con Nembro il comune più devastato dal virus) a raccontarci dell’assedio di imprenditori che volevano a tutti i costi “svincolarsi dalla zona rossa”. Nessuno nega la necessità di riaprire presto tutte le fabbriche. Purtroppo temiamo che per troppi imprenditori, da tutelare, al primo posto, non ci sarà la salute dei lavoratori.
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