Il destino dell’euro è in mano alle toghe rosse. Non sono, però, quelle che tanto preoccupavano Silvio Berlusconi, ma i giudici costituzionali della Repubblica federale tedesca che si riuniscono a Karlsruhe: martedì prossimo infatti, dopo aver rinviato la sentenza a marzo per l’emergenza Covid-19, decideranno se il Quantitative easing della Bce è conforme al diritto della Germania, il quale – va ricordato – è esplicitamente prevalente su quello Ue (qui in Italia siamo più laschi, per così dire). Se la decisione fosse nettamente contraria o particolarmente invasiva quanto a condizioni, cosa non impossibile, la Bundesbank non potrebbe più partecipare a operazioni “illegali” e semplicemente – senza l’ombrello della Bce – in poche settimane o anche meno il sistema dell’euro per come l’abbiamo conosciuto verrebbe giù.
L’inizio della storia. Per capire come si è arrivati fin qui serve un riassunto. La sentenza di martedì è solo l’ultimo capitolo, forse quello decisivo, di una guerra tra la Banca centrale europea di Mario Draghi e un pezzo di establishment tedesco iniziata anni fa, all’epoca del “whatever it takes”, del “faremo tutto quel che serve” per salvare l’euro. Era l’estate del 2012 e nacque il programma Omt (Outright monetary transactions), che consisteva nell’acquisto illimitato e diretto da parte della Bce di titoli di Stato a breve termine emessi da Paesi in difficoltà. Usiamo l’imperfetto perché, anche se non è mai stato usato, il programma Omt oggi in vigore è stato modificato profondamente da una sentenza della Corte di Karlsruhe del 2016.
Cosa contestarono all’epoca i ricorrenti, cioè una pattuglia di deputati della Cdu, il partito di Angela Merkel? Due grandi questioni: che la Bce stesse andando oltre il proprio mandato (la stabilità dei prezzi) e che le Omt aggirassero di fatto il divieto di finanziamento diretto degli Stati membri previsto dai Trattati europei.
Una vittoria a metà. Karlsruhe, pur condividendo la tesi dei ricorrenti, chiese un giudizio preliminare alla Corte di Giustizia dell’Ue: la risposta fu una sostanziale benedizione delle Omt, che pure ribadiva la cornice giuridica della “solidarietà” Ue (aiuti sì, ma solo in cambio di “condizioni”).
Nel 2016 la Corte costituzionale tedesca prese atto della cosa, dichiarò costituzionale l’Omt a patto che rispettasse alcuni vincoli che in sostanza rendevano inutile il programma: dimensione degli aiuti non illimitata, acquisti non annunciati, riservati a titoli che abbiano ancora mercato e di recente immissione, estensione limitata nel tempo e altre cosette (sulle “condizioni” modello Grecia non c’è neanche discussione: le danno tutti per scontate).
Il duello sul Qe. Mentre c’era questo rimpallo tra il Lussemburgo e la Germania, però, Mario Draghi aveva dato vita al Quantitative easing, cioè l’acquisto di titoli pubblici e non sul mercato secondario (2.700 miliardi di euro tra il 2015 e il 2018), resuscitato in una forma minore l’estate del 2019 e ancora in corso almeno fino alla fine dell’anno.
Ovviamente, anche il Qe è stato sottoposto al vaglio della Corte costituzionale tedesca sostanzialmente per gli stessi motivi per cui ci era arrivato l’Omt e anche in questo caso (nel 2017) la palla è stata preliminarmente passata alla Corte di Giustizia dell’Ue: anche stavolta in Lussemburgo hanno benedetto il parto di Draghi dicendo che l’acquisto di debito sovrano è lecito se “non è selettivo e non soddisfa i bisogni specifici di finanziamento di taluni Stati membri della zona euro”. In buona sostanza veniva ribadito il principio del “capital key”, cioè l’acquisto in proporzione alle quote della Bce detenute dai singoli Stati (l’11,8% l’Italia, il 18,4 la Germania), che peraltro Draghi aveva già moderatamente violato a suo tempo.
La sentenza della CgUe di fine 2018 fu definita dalla stampa tedesca (Die Welt) “un affronto” ai giudici di Karlsruhe, che ora – dopo le udienze pubbliche della scorsa estate – sono chiamati a dire la loro. Il problema è che nel frattempo non solo è risorto il Qe, ma gli è stato affiancato il Peep da 750 miliardi, il programma di interventi contro le turbolenze finanziarie da Covid-19 che è una versione più estrema del Quantitative easing: la Bce, infatti, oggi può comprare sforando non solo il “capital key”, ma tutti gli altri vincoli usati finora per evitare di favorire gli Stati in difficoltà (il 33% di ogni singola emissione, la vita residua dei titoli, eccetera). Una chiara violazione dei paletti costituzionali elencati dai giudici tedeschi e l’inizio di una monetizzazione di fatto del deficit degli Stati: un incubo visto da Berlino.
Cosa può succedere? Se la Corte tedesca vorrà ribadire i principi già elencati nel 2016, l’attuale azione della Bce ne verrà fortemente limitata (la Bundesbank tedesca, che vale un quinto della Banca centrale europea, non potrebbe partecipare a un programma che Karlsruhe giudica incostituzionale): in questa fase, ad esempio, Qe e Peep stanno deviando molto dal “capital key” a favore di Francia, Italia e Spagna; se la Bce dovesse rispettare quel limite, non ci sarebbero sul mercato bund tedeschi a sufficienza per coprire l’intervento necessario ai Paesi del Sud.
E qui forse diventa più chiaro l’ossessivo dibattito sul Mes, il Meccanismo europeo di stabilità che è l’anticamera per accedere al programma Omt della Bce (aiuti ma versione Troika): il punto è se la Bce può fare quel che razionalmente dovrebbe, cioè fare la Banca centrale, oppure quel che legalmente dovrebbe nella cornice anti-solidale dei Trattati europei. È un conflitto che va avanti, come detto, da quando Mario Draghi ha iniziato a puntellare/sostituire la politica nazionale e continentale da Francoforte: ora il nodo potrebbe essere giunto al pettine nel momento peggiore.