“Sappiamo tutti dove batte il cuore di Travaglio”. Nel rispondere alle osservazioni che il direttore del Fatto esponeva in un breve video montato (e tagliato) nel corso dell’intervista al presidente di Confindustria a Piazzapulita, Carlo Bonomi se l’è cavata con una battuta scontata. Travaglio, riferendosi alle critiche confindustriali verso il governo, ha ripetuto quello che abbiamo ripetuto sul Fatto: “I soldi a pioggia vanno bene quando sono alle imprese, quando sono date ai ‘poveracci’ allora non vanno più bene”.
Una considerazione non gradita a chi ha mostrato, ancora una volta, che il cuore lo tiene attaccato troppo al portafoglio.
1. A cominciare dalla prima delle richieste, l’abolizione dell’Irap, la tassa “più odiata”. Il ragionamento è semplice: invece di dare alle imprese finanziamenti una tantum, “magari 2-3 mila euro a impresa con chissà quali incombenze burocratiche” eliminate questa tassa: “Sono 9 miliardi – dice Bonomi – lo stesso ammontare che si vuole mettere nel decreto”.
Bravo lui. L’abolizione di una tassa, come per i diamanti, è per sempre, un fondo “una tantum” risponde al nome latino che gli è dato. Ma, soprattutto, è l’impatto finanziario che va calcolato. Innanzitutto la tassa non vale 9 miliardi ma, considerando solo il flusso dei privati, 13,8 miliardi (23,6 invece nel suo insieme, che comprende anche le amministrazioni pubbliche).
E poi l’Irap – che nel 1997 sostituì i contributi per il servizio sanitario nazionale, l’Ilor, l’imposta sul patrimonio netto delle imprese, l’Iciap, e altre ancora – è una tassa regionale ed è quella che contribuisce a finanziare, guarda un po’, il Servizio sanitario. Abolirla significherebbe, ad esempio, togliere alla Lombardia 5,5 miliardi. Ma di questo, Bonomi non ha parlato.
2. Di nuovo palla in tribuna quando, per rispondere alla difesa dei bonus da 600 euro, Bonomi se l’è presa con il Reddito di cittadinanza: “Capisco che dà fastidio quando io ricordo i navigator”, ha detto tirando in ballo un tema di cui non parla nessuno e che, tra l’altro, nel costo del Reddito di cittadinanza influisce per una piccola parte (semmai andrebbe discusso perché il RdC non venga esteso).
3. Il senso dell’intervista, comunque, è stato quello di esprimere la profonda “delusione” nei confronti del governo. Non prima, però, di ritornare su un tema che a Bonomi sta a cuore: spazzare via il “sentimento anti-industriale” definendo come “sadici” provvedimenti come quelli – in realtà inesistenti – sulla riduzione dell’orario di lavoro o gli allarmi sui contagi in fabbrica: “Quanto dice l’Inail è follia pura”. Basta guardare nell’articolo in basso cosa vuol dire questa follia.
Quello che non torna, però, è proprio la delusione. Tra i decreti già approvati e quelli in corso di (una troppo lenta) preparazione il governo ha annunciato una movimentazione di 155 miliardi tra spese correnti e fondi di garanzia: 87 miliardi, stima per difetto, sono a favore delle imprese. Dieci miliardi saranno le risorse a fondo perduto a cui aggiungere 5 miliardi per i bonus alle partite Iva. Poi ci sono 12 miliardi, che dovrebbero coprire i debiti delle Pubbliche amministrazioni, circa 50 miliardi di ricapitalizzazione della Cdp e 10 miliardi a garanzia dei prestiti a vario titolo. “Ma i soldi non arrivano”, dice Bonomi. In parte è vero, ma nessuno è riuscito a negare, nemmeno l’Abi, la responsabilità del sistema bancario, più volte chiamato in causa dal governo e ancora inadempiente. Tanto che anche Bonomi deve ammettere che “stavolta le banche non devono fare come nel 2008”.
4. Ma, siamo onesti, Bonomi fa il suo lavoro. Il suo cuore batte dove deve battere e infatti lo dice chiaramente: “Noi stiamo pensando alle Fase 3: come spendere i soldi che vengono stanziati: per spesa corrente o investimenti?”. Solo che nella spesa corrente ci sono anche gli aiuti ai “poveracci”. E gira e rigira, la questione rimane sempre quella: uno scontro tra chi sta in alto e chi sta in basso, che da troppo tempo si fa finta di non vedere.