Sono pagine formidabili, sorprendenti, spietate quelle delle Storie Ribelli di Luis Sepúlveda, che i lettori del Fatto trovano in edicola insieme al nostro giornale. C’è la biografia densa di un grande scrittore che qualcuno ha voluto, in occasione della scomparsa, addomesticare alla sua produzione favolistica (La Gabbianella e il gatto, la più famosa). La voce che il Coronavirus ha spento il 16 aprile ha raccontato molte storie, raccogliendo ovunque si trovasse tracce di uomini dimenticati e coraggiosi. Sepúlveda, rivoluzionario cileno vittima di Pinochet, patì le torture in patria e poi il dolore dell’esilio. Tutto comincia con il colpo di Stato militare in cui viene assassinato il “compagno Presidente”, come lo chiama Sepúlveda, membro del corpo dei Gap, gli amici del Presidente Salvador Allende. Quel Cile è stato il luogo simbolo di un sentimento per milioni di ragazzi, una generazione che ha attraversato le stesse burrasche, per cui la militanza politica non era una bandierina ma una ragione di vita. Per parlare delle Storie ribelli abbiamo incontrato (dove ci si può incontrare ora, cioè sui social) due di quei ragazzi che hanno avuto la fortuna di incrociare Sepúlveda: Bruno Arpaia ed Erri De Luca.
“Per quelli della mia età e quella di Luis, l’11 settembre è la data ricordare. Per molti la data evoca le Torri Gemelle, per noi il giorno dell’uccisione del presidente Allende: una data indimenticabile. Allende viene ucciso al Palazzo della Moneda da Pinochet, il generale finanziato dagli Stati Uniti e dal premio Nobel per la pace Kissinger”, ha detto De Luca ricordando le durissime parole che Sepúvelda dedica all’ex segretario di Stato Usa. “Nel ’73 militavo in Lotta Continua ed eravamo in contatto con tutti i movimenti sudamericani, anche con la sinistra rivoluzionaria in Cile, il Mir. Lotta continua lanciò una sottoscrizione, ‘Armi al Mir’: raccogliemmo 90 milioni in monetine per il Cile. Oggi sarebbe impensabile”. Eppure Sepúlveda non ha mai smesso di raccontare il mondo con le sue parole implacabili, contestando il sistema, la globalizzazione, il capitalismo selvaggio. Arpaia, che con Sepúlveda ha scritto due libri per l’editore Guanda, spiega così il segreto di un intellettuale libero che ha venduto milioni di libri senza rinunciare a una sincerità scomoda e mai edulcorata: “Ha sfruttato il meccanismo del mercato per cui i media non possono fare più a meno di te. Nello stesso tempo non doveva rendere conto a nessuno, se non ai propri lettori. Come tutti i bravi scrittori se ne fregava dei generi letterari. Li attraversava in continuazione per arrivare a ciò che voleva raccontare. Creava immagini per lettori da 5 a 90 anni. Aveva il dono della sintesi, uno stile asciutto, secco. Il tutto condito da un’ironia – e un’autoironia – che non l’hanno mai abbandonato”.
Nel 1977 la dittatura di Pinochet appiccicò una dolorosa “L” sul passaporto di Sepúlveda, che divenne apolide e giramondo. “Significava che non poteva più rientrare in Cile. Gli tolsero la cittadinanza e lasciò il suo Paese grazie ad Amnesty international”, ricorda Arpaia. “Poteva andare ovunque, ma non in patria. Fu apolide per qualche anno, fino a quando prese la cittadinanza tedesca sposandosi. Dopo non ha voluto richiedere la cittadinanza cilena, ha aspettato che gliela ridessero, cosa che avvenne nel 2017”. Cos’è rimasto di quelle vicende? Risponde Erri De Luca: “Il 900 è il secolo delle rivoluzioni. Luis ancora usa volentieri la parola nella sua prosa. Ma oggi è scaduta: di quel secolo non resta nulla”.