“Il nemico invisibile”. Quante volte l’abbiamo detto, in questi mesi di angoscia, quante volte abbiamo utilizzato questa espressione per definire l’indefinibile, per raccontare quanto siamo inermi, piccoli, spauriti. “Il nemico invisibile”. Quello da cui ci si difende bendati, agitando le braccia tese, le mani, ruotando il corpo per individuarne la posizione, l’odore, un piccolo spostamento d’aria che ci dica che esiste, che è lì, che possiamo sentirne, almeno, la presenza. Non lo conoscevamo, noi, il nemico invisibile. Ci ha atterriti, perché era un nemico nuovo e i nemici nuovi sono temibili perché bisogna diventare un po’ nuovi anche noi, quando li si combatte. Le vecchie risorse sono inservibili, si deve attingere da quelle sconosciute, tocca reinventarsi, dosare attacco e difesa senza sfiancarsi. E poi, mentre noi prendevamo le misure e avevamo paura, c’era chi il nemico invisibile lo conosceva già.
Chi ha familiarità non solo con quell’espressione, ma con ciò che ne è l’esordio: il disorientamento. Chi ha avuto un tumore, chi ha un tumore, sa di cosa ha avuto paura il mondo, in questi mesi di pandemia, perché ha conosciuto, conosce quella paura. Il “nostro” nemico invisibile ha strisciato nelle case, si è introdotto, impercettibile, dove andavamo a mangiare, dove andavamo a lavorare, si è insinuato nelle nostre vite distratte e nel mondo intero, con l’invisibilità del super eroe e la malvagità del suo antagonista. Il nemico invisibile di chi ha un tumore si è insinuato in un corpo, si è mosso nell’inganno della normalità, si è svelato, come l’altro nemico invisibile, quando aveva già attaccato, si era già preso il suo spazio, aveva scavato la sua trincea.
Le donne che scoprono un tumore al seno lo conoscono bene quel nemico che appare di colpo, come un ladro di notte, in casa propria. Anche loro se lo sono portate dietro per un po’ o a lungo, mentre lavoravano, mentre uscivano con le amiche, mentre facevano l’amore, mentre accompagnavano a scuola i figli, mentre prendevano il sole su una spiaggia, mentre piangevano per una scemenza. Non sapevano.
Poi la scoperta. Lo shock. Non è solo andare avanti, la scoperta di un tumore. Immaginare il futuro, chiedersi come, se, quanto se ne avrà, avere paura. È anche andare indietro. Domandarsi dove fosse quel nemico, come sia stato possibile ignorarlo, detestarlo per il silenzio nel quale si è mosso, per tutte le feste a cui ha partecipato, meschino, nascosto dietro la tenda.
Non lo scoprono, sempre, facendosi la doccia come da narrazione-tipo del tumore al seno, le donne. C’è chi lo scopre durante una mammografia di routine, chi infilandosi un reggiseno, chi mentre allatta, chi quando era una pallina più piccola di una perla e se ne era rimasto lì, chi quando se ne era già andato in giro e allora la guerra diventa riacchiapparlo, scovare le basi, indebolire l’altro. Ed ecco il momento, anche per me, in cui si inizia a utilizzare termini bellici. Che sono efficaci, ma non sono giusti, perché quella con un nemico invisibile non è una guerra. Nelle guerre ci sono due, tre, quattro fronti. Il nemico invisibile non ha un fronte: occupa il tuo. In una donna con un tumore al seno è quello sacro e romantico della femminilità, della maternità, della sensualità. Si insinua sotto le nostre camicette leggere, i nostri reggiseni sportivi, sotto i bikini e il pizzo, le magliettone larghe e i top luccicanti.
E quando si rivela diventa occhi sconosciuti che lo osservano, mani che lo toccano, lo tastano, macchine che lo schiacciano, lo fotografano, lo guardano dentro. Occhi e mani sconosciuti che diventeranno amici, cure, conforto. Che diventeranno una carezza gentile nella paura e nell’incertezza.
Ci sono tante donne che corrono, ogni anno, per ricordare che si sopravvive, che si deve prevenire, che la vera sfida è togliere il dono dell’invisibilità al nemico invisibile. Corrono da 20 anni la “Race for the cure”, la mini-maratona che si svolge in tante città e quest’anno, per la prima volta, dovranno non fermarsi, ma correre in un modo nuovo. Perché, vi ricordate cosa si diceva all’inizio? Con un nemico nuovo, bisogna diventare un po’ nuovi anche noi. E le donne che conoscono bene i nemici invisibili lo sanno. Per questo, si correrà da casa, domenica 17 maggio, con una maratona digital in cui tanti sostenitori si collegheranno con le madrine Maria Grazia Cucinotta e Rosanna Banfi.
Sarà diverso e sarà una sfida, saranno racconti anziché gambe che si inseguono, sarà la fatica e l’adrenalina del ricordo, anziché quella dei muscoli. Sarà una corsa invisibile che restituirà a questo aggettivo – invisibile – un’accezione buona e salvifica.
Sarà un grande abbraccio. Invisibile anche quello, nell’attesa di correre di nuovo, calpestando l’asfalto e sorridendo a ciò che si può toccare: gli amici, quelli visibili.