Nutro una sincera simpatia per il camerata Ignazio la Russa da quando la scorsa estate ad Atreju, che è la festa di Fratelli d’Italia, mentre con fattivo spirito femminile la sorella Giorgia Meloni si sbatteva da uno stand all’altro (e mancava poco che svuotasse i posacenere e rimettesse le sedie a posto), lui da verace maschio italico cercava di filarsela perché c’era una partita dell’Inter. Ma quando ieri, al termine del dibattito sulle dimissioni del ministro Alfonso Bonafede, il nostro eroe ha chiesto la parola “sull’ordine dei lavori”, con la stessa solennità di chi annuncia l’invasione della Polonia, ho pensato: fermi tutti, vediamo quale scaltro stratagemma ha escogitato l’intelligence dell’opposizione per mandare sotto il governo.
Dovete sapere infatti che in qualche segreta situation room di Palazzo Madama i migliori cervelli della destra sono costantemente impegnati ad architettare i più ingegnosi trabocchetti regolamentari, sotto la guida luciferina del senatore Roberto Calderoli (per gli amici, “Doc”, come lo scienziato estroso e maldestro di Ritorno al Futuro). Però questa volta La Russa di pensata ne aveva una tutta sua, originale doc, una figata che sembrava impaziente di comunicare alla presidente Elisabetta Casellati (più altri tre cognomi). Che, tuttavia, particolarmente malmostosa (forse per avere appena letto sui giornali che la cricca giudiziaria di Taranto la considerava “amica nostra”) non gli dava molto retta. Ed è un peccato perché l’acuto stratagemma larussiano consisteva nel far votare tutti i senatori di Fdi, attenzione, non nella prima ma nella seconda “chiama”. E, attenzionissima, non della prima bensì della seconda mozione di sfiducia (non abbiamo capito perché ma già ci fumava il cervello).
Purtroppo, come accertato da illustri matematici, cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia, e infatti il ministro della Giustizia ha avuto i voti che doveva avere. Da questo siparietto potremmo trarre due considerazioni. La prima è che certi esperimenti, ancorché bizzarri, hanno un loro fascino: come quel tale che durante l’ultimo conflitto faceva estrarre il ferro dalla sabbia di Ladispoli per aiutare la produzione bellica. La seconda è che la destra che vuole liberarsi di Giuseppe Conte non sa più dove sbattere la testa. Perché bisogna davvero essere alla disperazione per dare retta a Matteo Renzi, che millantava (come d’abitudine) una sfiducia che per lui e Italia Viva equivaleva a spararsi avete capito dove.
Da quando è cominciata l’emergenza Covid, Lega e FdI non toccano palla. Mentre i berluscones fanno il doppio gioco, spostandosi continuamente dal campo dell’opposizione e a quello del governo, e viceversa. Forse non sarà del tutto vero che il premier preferisce ignorare le richieste e le proposte di Salvini e Meloni, ma sul predominio mediatico di Conte da almeno due mesi a questa parte non ci sono dubbi. E ciò è motivo d’impazzimento per i due sovranisti. Però. In qualsiasi democrazia il ruolo dell’opposizione giova alla democrazia. Soprattutto se e quando va in discussione in Parlamento un decreto monstre, “Rilancio”, che può smuovere qualcosa come 155 miliardi.
Non spetta a noi dare consigli alla maggioranza, ma con la destra, anche la più ostica e indisponente, un accordo per migliorare le misure e velocizzare l’iter legislativo è nell’interesse del Paese, e dunque del governo. Anche la manifestazione di piazza convocata a Roma per il 2 giugno da Lega, FdI e FI, pur se nel disagio del distanziamento può servire a incanalare nei canali democratici la rabbia e la protesta montanti nelle fasce sociali più danneggiate dalla quarantena. Con i rischi eversivi che segnalano da tempo al Viminale.
Il dialogo in Parlamento tra governo e opposizione sulle cose da fare – ciascuno nel suo ruolo e senza posticce unità nazionali – potrebbe essere l’antidoto allo smarrimento di tanti cittadini che chiedono aiuto e non ne possono più di polemiche inutili e schiamazzi molesti. Sarebbe un primo, forse utile rimedio a furbate varie, renzismi e forconi.