Questo giornale cambia veste grafica, ma non cambia le vecchie e brutte abitudini. Del resto il suo direttore, come ricorda Il Riformista, è ministro della Giustizia e non ha certo tempo da perdere con noi. Ne deriva un quotidiano ancor più giustizialista del solito, come ha dimostrato domenica l’attacco scriteriato di Selvaggia Lucarelli all’incolpevole Giulio Gallera. Eccomi dunque qui a ristabilire il giusto equilibrio. In primo luogo, Gallera non è uomo bensì leggenda. Lo è fin dal cognome, dove la seconda “l” se volete è muta. Il suo è un cognome cangiante, che pare quasi dissociarsi da se stesso, con quell’accento che ora cade sulla prima “a”, ora sulla “e”, e ora non cade proprio (perché si vergogna).
L’assessore al Welfare della Lombardia, lanciato costantemente a bomba contro se stesso, è stato catapultato in una realtà più grande di lui. Ma lui non si è scomposto. Infatti, a fine maggio, appare identico a com’era a fine febbraio: provvisorio, evanescente, fuoriluogo. E in questa sua natura pervicacemente inappropriata c’è una coerenza granitica che in tutta onestà commuove. Buffamente narciso, di quell’edonismo ingiustificato che ricorda da vicino l’ex grillino neo-leghista Mario Michele Giarrusso quando se la tira come un Brad Pitt dadaista, Gallera va avanti da mesi con conferenze stampa monodimensionali, all’interno delle quali la sua narrazione è orgogliosamente sganciata dalla realtà contingente. Se il mondo è pervaso da malattia e morte, nel magico regno di Ga(l)lera tutto funziona e ogni cosa è illuminata. E se è illuminata, va da sé, è solo perché lui e Fontana la illuminano.
Intellettuale sopraffino, Gallera reinventa la realtà come un David Lynch padano e dà del tu all’onirismo come un Fellini 2.0. Egli regna, glorifica e divelle. Con una competenza squisitamente assente, prima pontifica che i test sierologici non servono a nulla, poi che forse servono, quindi che servono così tanto che ce li paga lui di persona. Applicando a se stesso la teoria del caos, Gallera dice sempre tutto e il suo contrario, garantendosi così la certezza di avere – almeno una volta – ragione in ogni campo dello scibile. Novello Michelangelo della politica, sa vedere sempre il bicchiere mezzo pieno e mai mezzo vuoto. Se i test dicono che a Bergamo i positivi sono il 58%, lui rovescia l’assioma e ci ricorda che “ben il 42%” non sono positivi. Vale anche i sanitari, perché a Milano “solo il 13% ha gli anticorpi”: e che sarà mai, un misero 13%, di fronte all’immensità della nostra uallera (o se preferite Gallera)! Non c’è forse mai stato un assessore così intimamente orgoglioso della propria inconsistenza politica. Un’inconsistenza che sfocia nel capolavoro lisergico laddove il nostro amato Gallera trasforma lo 0,5 dell’indice di contagio da dato statistico a circostanza fattuale: “Con lo 0,50 oggi per infettarmi devo trovare due infetti allo stesso momento, e non è così semplice”. In quel “allo stesso momento” c’è una dose di talento mentale al cui confronto Gasparri è Gasparri. Gallera ci insegna che, per infettarci, non basta lo sputo di un contagiato: no, serve un secondo sputo – contemporaneo al primo, mi raccomando! – analogamente putrescente. A quel punto i due sputi si uniranno, diverranno una bomba a mano e colpiranno il reietto fino a spezzargli le reni. Genio puro. Criticare Gallera significa confutare l’insondabile, il divino e il trascendente. Travaglio dovrebbe vergognarsi. Selvaggia dovrebbe vergognarsi. Non ascoltarli, mitico Giulio: sei così avanti, ma così avanti, che se ti volti indietro vedi il trapassato remoto.