A febbraio 2019, alla domanda se fosse lecito consentire a Donald Trump di usare la sua piattaforma per attaccare individui e istituzioni, il Ceo di Twitter, Jack Dorsey, aveva risposto: “È uno dei molti leader mondiali che usano la piattaforma continuamente e senza restrizioni, perché sanno che è l’unico canale di comunicazione diretto con la gente. Io credo che sia di interesse pubblico capire chi sono davvero questi leader attraverso le loro esternazioni dirette, e che sia necessario offrire la possibilità di aprire un dibattito su quello che scrivono sullo stesso canale in cui lo scrivono”.
Twitter come strumento indispensabile di dibattito pubblico. Niente censure per nessuno quindi? Non proprio. Come nota Kara Swisher, punto di riferimento giornalistico della Silicon Valley, negli ultimi anni Twitter ha “censurato” anche molti pubblici ufficiali. Trump è stato finora l’unica eccezione. Ma negli ultimi tempi ha passato il segno. Oltre le dichiarazioni folli sul Covid, ha falsamente accusato l’ex deputato repubblicano Joe Scarborough di aver ucciso, molti anni fa, una giovane collaboratrice. Il vedovo si è rivolto pubblicamente a Dorsey chiedendo di intervenire. E questo sembra aver dato a Twitter la spinta decisiva ad applicare anche al presidente le restrizioni sulla disinformazione adottate ufficialmente un mese fa. “Contrapporre menzogna e verità mi sembra naïve e inefficace, perché le bugie hanno già fatto il giro del mondo quando la verità si sta ancora mettendo le scarpe” ha commentato la Swisher sul New York Times. “Del resto, buttare fuori Trump da Twitter avrebbe ripercussioni pubbliche e finanziarie non gestibili dalla piattaforma. Io sono per eliminare i tweet offensivi: darebbe il segnale che certi comportamenti non sono tollerati”. Ma c’è un altro aspetto, sottolineato fra gli altri da Wolfgang Blau, presidente delle operazioni internazionali di Conde Nast: “Twitter ha agito da editore aggiungendo un link di verifica al tweet di Trump. Sono favorevole, ma mi chiedo se abbia i mezzi per offrire questo tipo di verifica in modo costante anche in futuro”.
È un punto cruciale nel dibattito sulla natura giornalistica dei social, e infatti il tweet di Blau è piaciuto anche ad Alan Rusbridger, ex direttore del Guardian e membro dell’Oversight Board di Facebook, il gruppo di esperti chiamato da Mark Zuckerberg a prendere decisioni sulla moderazione dei contenuti del social. Una frontiera complicata: se è vero che i social veicolano notizie, vere e false, che influenzano milioni di persone, devono essere considerati testate giornalistiche ed essere quindi tenuti alle stesse responsabilità? Quali sono i confini etici e i rischi di censura che questo comporta. Chi li definisce?