Finita la pandemia, saremo un popolo migliore di uomini e donne più responsabili verso gli altri, più rispettosi della legalità, sinceramente grati ai nostri concittadini che si sacrificano per difendere la vita e la salute di tutti, più caritatevoli verso i deboli e gli indifesi; o saremo un popolo peggiore di uomini e donne chiusi al sentimento di civile fratellanza, felici di affermare la propria individualità violando le leggi, abili a declamare parole di ammirazione per chi assolve i doveri mentre dentro di noi li derideremo come poveri fessi, indifferenti nei confronti delle vittime della condizione umana e delle ingiustizie?
Per tentare di rispondere alle domande importanti e difficili è sempre consigliabile consultare i maestri del passato. Ci soccorre il buon Machiavelli che, per una volta, offre una considerazione rassicurante. Dopo le pestilenze, le carestie e le alluvioni, scrive nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, II.5, “gli uomini sendo divenuti pochi e battuti”, vivono “più comodamente”, e diventano “migliori”. Diventano migliori perché riscoprono i principi del vivere civile: si riconoscono, ovvero ritrovano il loro vero essere, e quindi rinascono come popolo.
Sarebbe bello se, superata per il momento la fase più nera della pandemia, avessimo riscoperto i principi del vivere civile e fossimo diventati migliori. Purtroppo, non è così. Siamo lo stesso popolo che eravamo prima del coronavirus. Da una parte medici, infermieri, forze dell’ordine, volontari, amministratori pubblici che per senso del dovere affrontano fatiche enormi, e in molti casi sacrificano le loro vite, e tanti cittadini che rispettano le regole necessarie per combattere il virus. Dall’altra migliaia d’irresponsabili e di arroganti che si riversano nelle vie, nelle piazze, nelle spiagge senza mascherine e senza osservare la distanza prescritta.
Si legga l’ottimo articolo di Leonardo Coen sul Fatto (25.05). I titolari di un pub milanese, che hanno chiuso di fronte all’arroganza degli avventori, si sono sentiti dire frasi del tipo: “Non metto la mascherina perché il Covid non esiste”, “fammi vedere dove c’è scritto che devo mettermi la mascherina”. “Altro che ‘saremo migliori dopo’ commenta Coen, il dopo è già peggio del prima”.
Confermo per esperienza diretta. Dalla finestra di casa nostra in piazza Santo Spirito a Firenze vedo tante persone le une appiccicate alle altre, senza mascherine, e agenti di polizia e vigili urbani assistere immobili alla palese violazione delle norme. Vedo l’arroganza di chi passa davanti agli agenti ostentando di non avere la mascherina, e l’astuzia di chi la mette quando gli agenti si avvicinano e la toglie appena si allontanano.
A chi crede nel dovere di osservare le leggi queste scene fanno male. Dovrebbero fare male anche a chi ha a cuore la dignità delle forze dell’ordine. Leggo che in altre città italiane i trasgressori incorrono nelle sanzioni previste dalla legge. Mi chiedo perché a Firenze non avvenga.
Non sono un epidemiologo e quindi non sentenzio sugli effetti degli assembramenti di centinaia di persone senza mascherine. Mi fido di chi è competente in materia e sostiene che sono pericolosi e quindi vanno proibiti o seriamente regolati. Da studioso di teoria politica ritengo che quando lo Stato emana norme, deve farle rispettare. Se non lo fa, non è più uno Stato, ma una finzione di Stato. Temo non sia ancora chiaro: questa epidemia non porta solo morte, sofferenze e povertà; può portare anche alla resa dello Stato repubblicano, se chi governa non lo sa difendere con saggezza e determinazione.
Non è la prima volta che noi Italiani ci troviamo di fronte al bivio fra rinascita o declino civile. Non sarà neppure l’ultima. Anche se i segni del declino sono più forti di quelli della rinascita, non è ancora finita. Gli Italiani consapevoli dei doveri civili potrebbero ancora vincere contro gli arroganti che vogliono vivere in spregio delle leggi. Molto dipenderà dalla determinazione dello Stato, in tutte le sue componenti. Ma molto dipenderà anche dalle autorità morali che possono insegnare con la parola e con l’esempio.
Il “riconoscersi” che Machiavelli indicava come chiave della rinascita civile è riscoperta interiore di valori nuovi o dimenticati. Proprio perché esige il cambiamento radicale di modi di vivere consolidati, la rinascita civile è più difficile della decadenza. Eppure dobbiamo tentare, non fosse altro per debito di gratitudine nei confronti di chi ha dimostrato con l’esempio che vivere da cittadini vuol dire assolvere i doveri, soprattutto quando costa fatica e sacrificio.