Incentivi a fondo perduto, contributi all’export, agevolazioni fiscali e contributive, sostegni alla produzione. Sono solo alcuni degli strumenti pubblici che portano denaro nelle casse degli industriali italiani. Un fiume di denaro difficile da quantificare con precisione e che, nella migliore delle ipotesi, supera di quasi tre volte il budget stanziato a favore del reddito di cittadinanza. Ciononostante, Confindustria continua a battere cassa e il suo presidente, Carlo Bonomi, critica le misure del governo a sostegno dei redditi delle fasce più deboli della popolazione. E chiede insistentemente che tutto lo sforzo pubblico sia concentrato sul sistema produttivo. Ma la formula di Bonomi e della Confindustria può davvero salvare il Paese dalla peggiore crisi dal Dopoguerra? Ha un suo fondamento economico o serve solo a tirare l’acqua al mulino di imprenditori italiani, storicamente troppo dipendenti dalla mano pubblica?
Le risposte nell’inchiesta di copertina di Fq Millennium, il mensile diretto da Peter Gomez in edicola da sabato 13 giugno con un numero dedicato a economia e aiuti pubblici nella crisi del Covid-19, e con un inedito ritratto proprio del presidente Bonomi. Un viaggio che parte dal sistema degli incentivi statali, ne indaga il funzionamento e le distorsioni per arrivare fino alle possibili opzioni di rilancio del Paese. E ripercorre diversi casi di scuola della storia industriale italiana, i vizi del capitalismo nostrano, mai diventato realmente autonomo, i dubbi degli economisti sull’idea che finanziare solo le imprese possa evitare una dura recessione. E poi ancora il timore degli esperti e del governo che un crollo della domanda delle famiglie possa mettere le basi per una spirale recessiva senza precedenti.
Tutte legittime perplessità che emergono mentre il Paese arranca dopo lo choc psicologico ed economico del lockdown. Con la povertà che avanza, la disoccupazione in deciso aumento e la forbice fra benestanti e poveri che si allarga inesorabilmente in uno scenario di per sé estremamente fragile: già prima dell’emergenza sanitaria, l’Italia registrava oltre 1,8 milioni di famiglie in condizioni di povertà assoluta (il 7% del totale) per un numero complessivo di 5 milioni di individui, cioè l’8,4% della popolazione (Istat 2018).
In questo contesto, i fondi che arriveranno dall’Europa, anche sotto forma di prestito, dovranno essere ben spesi per svecchiare l’Italia, rilanciare il sistema produttivo secondo un piano d’azione ben preciso, come suggerisce l’economista Giorgio La Malfa, intrvistato dal mensile, richiamando alla mente il Piano Marshall.
Dovranno però essere utilizzati anche per mantenere lo stato sociale e garantire il benessere dei cittadini, magari prendendo spunto da quello che accade all’altro capo dell’Oceano, dove la liberalissima America di Trump non solo sta intervenendo a favore delle aziende, ma ha anche versato denaro direttamente nei conti correnti della classe media, nell’intento di sostenere la domanda interna ed evitare che i consumi nazionali calino drasticamente e le merci restino sugli scaffali e nelle vetrine. Non certo per populismo, ma con un progetto coordinato fra tutte le forze del Paese, industriali inclusi. Perché “da una situazione come quella attuale si esce non facendo la guerra a chi prende più soldi, ma cercando di avere una posizione lungimirante – spiega Ugo Marani, professore di economia all’Università L’Orientale di Napoli – Cosa che raramente Confindustria ha fatto sull’economia italiana”.