In attesa di sapere se dal conclave degli Stati generali a porte chiuse emergerà un’idea per l’Italia di domani speriamo più modestamente che il governo prenda qualche piccola decisione. Che fare con l’Ilva di Taranto, o meglio, con la città di Taranto? Qual è il piano per rilanciare Alitalia? In che modo si concluderà la partita con i Benetton su Autostrade per l’Italia? Magari potrebbero essere al centro dei dibattiti a Villa Pamphili.
Tutti i dossier sono, come si dice, allo studio dell’esecutivo da tempo. Tutti, ci assicurano, sono vicini alla soluzione, ma nessuno si prende la briga di spiegare quale sia. Ci si limita, come dicono i geni della finanza, a kick the can, a dare calci alla lattina, cioè a rinviare il problema, vera strategia nazionale.
Quando, nel 2012, la procura di Taranto sequestrò gli impianti dell’Ilva per l’inquinamento trentennale iniziato dallo Stato e perpetuato dai Riva, bisognava decidere se tenerla aperta, investendo per produrre acciaio senza uccidere i tarantini, o chiuderla. Si è invece deciso di vendere il più grande siderurgico d’Europa (e il futuro di 13mila operai più altrettanti dell’indotto) come fosse un appartamento, al miglior offerente. Se l’è aggiudicato Arcelor Mittal, colosso mondiale sospettato fin da subito di volerlo solo chiudere. Cosa che prova a fare da un anno, mentre il governo giallorosa non è riuscito a elaborare una vera alternativa, subendo il ricatto, complici anche le divisioni interne. A Taranto servono almeno due miliardi di investimenti e un grandissimo manager siderurgico. Il governo li sta cercando? Nessuno lo sa. In Alitalia, commissariata dal 2017, è prossima la nomina di un manager interno senza nessun peso internazionale. Il ministro Patuanelli deve discutere il futuro della compagnia – a cui ha destinato 3 miliardi – e le nomine con la senatrice Giulia Lupo (M5S), esperta del settore in quanto ex hostess. Ad Autostrade da due anni il governo minaccia di revocare la concessione per il disastro del Morandi senza mai procedere ma portando a decozione la società controllata dai Benetton.
C’è solo da sperare che gli Stati Generali non estendano a tutta l’economia nazionale questa incapacità di decidere.