Nella primavera del 1991, quando il ministro Guido Carli lo assunse come direttore generale del Tesoro, Mario Draghi era un economista 43enne sconosciuto alle masse. Marco Cecchini, uno dei pochi giornalisti che lo conoscevano, scrisse uno striminzito ritratto sul Corriere della Sera. Adesso tocca ancora a Cecchini l’impresa di descrivere in un libro un mistero, affascinante per gli ammiratori, ambiguo per i detrattori.
Nel trentennio trascorso Draghi si è trasformato da giovane e determinato studioso in uno degli uomini più potenti del mondo, forse, d’Italia sicuramente. Da giovane Ciampi boy, regista della grande stagione delle privatizzazioni, a eroe continentale del salvataggio dell’euro e non solo grazie al “whatever it takes”, un marchio del made in Italy diventato celebre quanto quello della Ferrari. Il libro si propone esplicitamente di offrire un vademecum per capire il possibile presidente del Consiglio o addirittura il prossimo presidente della Repubblica. Il curriculum di Draghi, che a settembre compirà 73 anni, è pesante: consigliere economico di Giovanni Goria al Tesoro nel 1983, poi alla Banca Mondiale, per dieci anni dg del Tesoro (1991-2001), una breve parentesi alla Goldman Sachs (il lavoro più pagato della sua vita) lasciata per tornare a Roma, governatore della Banca d’Italia per “restituirle il prestigio” dissipato dal dimissionario Antonio Fazio, infine al vertice della Bce. Il titolo del volume, dichiaratamente rubato a una definizione del Financial Times (“L’enigma Draghi”), riassume l’apparente doppiezza del protagonista che si presta a essere catalogato come un rigido servitore dello Stato o come un infiltrato dei poteri forti della grande finanza internazionale; come un fedele erede del keynesismo del suo maestro Federico Caffè (l’economista più di sinistra tra quelli bravi della sua epoca) o come un convertito al mercatismo più bieco; come uomo riservato fino all’ossessione o come un vanitoso attento a ogni virgola dedicatagli dai media.
La preferenza di Cecchini per il lato positivo di ciascuna delle numerose alternative sembra fondata su una fredda lettura dei fatti: quando il governo D’Alema decide di favorire la scalata a Telecom Italia della “razza padana” di Roberto Colaninno (1999) è lui a mettersi di traverso e a battersi contro il mercatismo imparaticcio del premier, mentre il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi tace come gli capitava di fare molto più spesso di quanto non si sappia. Draghi deve la sua reputazione di freddo calcolatore alla capacità di non tradire mai un pensiero o un’emozione: “La sua mimica facciale in pubblico ha poche varianti. È capace di sedere per un’ora senza muovere un muscolo della faccia”. Un’abilità che però non ne fa un uomo subdolo, secondo Cecchini. Che gli riconosce come qualità principale, dimostrata dai fatti, un grande coraggio, imparato dal padre Carlo, ispettore di Bankitalia morto quando il figlio era ancora ragazzino, lasciandogli in eredità il motto letto su un monumento in Germania: “Se hai perso il coraggio hai perso tutto”.