La crisi non ha colpito tutti allo stesso modo: la disuguaglianza è cresciuta e i più deboli hanno pagato il prezzo maggiore. E c’è una crisi generazionale che paralizza il Paese
La violenta scossa dell’emergenza Covid-19 ci ha ricordato con forza i divari di condizioni di vita già elevati e crescenti nel nostre paese, creandone di nuovi. Preoccupa il fatto che tante famiglie italiane fronteggino questa nuova crisi già fiaccate da anni di stagnazione e con risorse insufficienti e che le nuove generazioni rischiano di essere intrappolate in una nuova lunga crisi.
Come molte economie avanzate, e nonostante quanto spesso si sente ripetere, anche l’Italia è oggi un paese più diseguale. Dagli anni 80 ad oggi, la percentuale di persone che vivono in condizioni di povertà relativa è aumentata di più di 5 punti. Il coefficiente di Gini dei redditi lordi delle famiglie (con valori da 0 a 100 all’aumentare della disuguaglianza), è aumentato di poco meno di 3 punti. È vero, non si registrano aumenti di disuguaglianza di reddito in Italia dalla seconda metà degli anni 90 alla prima metà degli anni 2000, ma a partire dalla crisi globale del 2007 le cose stanno diversamente. L’indice di Gini dei redditi familiari disponibili equivalenti (corretti per la numerosità e composizione familiare), nelle tavole dell’indagine della Banca d’Italia, è aumentato da 32.1 nel 2006 al 33.5 nel 2016. È un aumento significativo, dovuto al fatto che dal 2006 il reddito del 10% delle famiglie più povere è calato del 25% circa, più del doppio del calo registrato per il 10% delle famiglie più ricche. Anche il “ceto medio” (reddito mediano) perde seppur meno di altri. Tutti hanno perso dunque, anche se le famiglie povere perdono di più. Per una famiglia abbiente, inoltre, le perdite possono essere temporanee e legate alla natura ciclica dei redditi percepiti. Le perdite per le famiglie povere spesso coincidono, invece, con la perdita di lavoro e della capacità di sostentamento.
Non è casuale che la percentuale di persone in famiglie con un reddito inferiore alla soglia di rischio di povertà (poco meno di 10 mila Euro) sia aumentata di più di 3 punti percentuali secondo i dati di Banca d’Italia. Per l’Istat, gli individui in stato di grave deprivazione sono raddoppiati dal 2010 al 2012 passando dal 7 al 15 percento circa, per poi riscendere al 10% nel 2017, un livello ancora molto superiore a quello pre-crisi.
L’evoluzione delle disuguaglianze in Italia va letta all’interno di un quadro macroeconomico preoccupante e unico nel panorama delle economie avanzate.
Primo, la crisi del 2007 ha inferto un duro colpo a tutti i paesi ma, come scritto in Brandolini, Gambacorta, e Rosolia (2018) “L’Italia è l’unico tra i paesi maggiormente avanzati ad avere sofferto, nell’ultimo ventennio, una caduta dei redditi personali reali pro-capite”. Il reddito reale delle famiglie è, dal 2012, al disotto del livello della fine degli anni 80 e la tendenza è guidata dal calo dei redditi da lavoro, autonomo e dipendente.
Secondo, nel 1995 i dati Ocse collocavano l’Italia in cima ai paesi dell’Organizzazione per tasso di risparmio: il 16% del reddito disponibile. Tasso poi sceso all’8% nel 2008 e al 2,5% nel 2018, contro una media dell’area euro del 6% e negli Usa e in Germania rispettivamente l’8 e l’11%. Non sorprende dunque che almeno 10 milioni di adulti più poveri abbiano pochissime risorse per far fronte ad emergenze, con risparmi inferiori a 2.000€ circa.
In ultimo, l’Italia vive una grave crisi generazionale che paralizza il paese. Il tasso di disoccupazione dei giovani fra i 15 e i24anni si attesta intorno al 32,2% nel 2019, contro una media OCSE dell’11.L’abbandono precoce degli studi (14,5% dei giovani fra 18 e24anni) è tornato a crescere e la percentuale di persone fra i 20 ed i 34 anni né in formazione né al lavoro è fra le più alte dei paesi industriali (oggi 28,9% contro una media europea del 16,5%).
Anche chi ha un lavoro ha condizioni peggiori rispetto alle generazioni precedenti, ricevendo salari più̀ bassi di entrata e una progressione salariale più̀ limitata, anche a parità̀ di istruzione. Segue un contesto di progressivo peggioramento della mobilità sociale nel nostro paese dove lo status socio-economico dei genitori è sempre più determinante per delineare le opportunità di vita dei figli.
Invertire la rotta per un futuro più giusto
I numeri mostrano che l’aumento delle disuguaglianze di reddito e di povertà avvenuto in Italia negli ultimi 30 anni e a partire dall’ultima crisi sia reale. Queste disuguaglianze saranno rese ancora più eclatanti dall’emergenza Covid-19 che stiamo vivendo. Le politiche pubbliche non possono non cogliere l’urgenza di invertire questa rotta per favorire la mobilità sociale e garantire un pieno sviluppo delle libertà sostanziali e delle opportunità per tutti gli Italiani e le italiane.
La violenta scossa dell’emergenza Covid-19 ci ha ricordato con forza i divari di condizioni di vita già elevati e crescenti nel nostre paese, creandone di nuovi. Preoccupa il fatto che tante famiglie italiane fronteggino questa nuova crisi già fiaccate da anni di stagnazione e con risorse insufficienti e che le nuove generazioni rischiano di essere intrappolate in una nuova lunga crisi.
Come molte economie avanzate, e nonostante quanto spesso si sente ripetere, anche l’Italia è oggi un paese più diseguale. Dagli anni 80 ad oggi, la percentuale di persone che vivono in condizioni di povertà relativa è aumentata di più di 5 punti. Il coefficiente di Gini dei redditi lordi delle famiglie (con valori da 0 a 100 all’aumentare della disuguaglianza), è aumentato di poco meno di 3 punti. È vero, non si registrano aumenti di disuguaglianza di reddito in Italia dalla seconda metà degli anni 90 alla prima metà degli anni 2000, ma a partire dalla crisi globale del 2007 le cose stanno diversamente. L’indice di Gini dei redditi familiari disponibili equivalenti (corretti per la numerosità e composizione familiare), nelle tavole dell’indagine della Banca d’Italia, è aumentato da 32.1 nel 2006 al 33.5 nel 2016. È un aumento significativo, dovuto al fatto che dal 2006 il reddito del 10% delle famiglie più povere è calato del 25% circa, più del doppio del calo registrato per il 10% delle famiglie più ricche. Anche il “ceto medio” (reddito mediano) perde seppur meno di altri. Tutti hanno perso dunque, anche se le famiglie povere perdono di più. Per una famiglia abbiente, inoltre, le perdite possono essere temporanee e legate alla natura ciclica dei redditi percepiti. Le perdite per le famiglie povere spesso coincidono, invece, con la perdita di lavoro e della capacità di sostentamento.
Non è casuale che la percentuale di persone in famiglie con un reddito inferiore alla soglia di rischio di povertà (poco meno di 10 mila Euro) sia aumentata di più di 3 punti percentuali secondo i dati di Banca d’Italia. Per l’Istat, gli individui in stato di grave deprivazione sono raddoppiati dal 2010 al 2012 passando dal 7 al 15 percento circa, per poi riscendere al 10% nel 2017, un livello ancora molto superiore a quello pre-crisi.
L’evoluzione delle disuguaglianze in Italia va letta all’interno di un quadro macroeconomico preoccupante e unico nel panorama delle economie avanzate.
Primo, la crisi del 2007 ha inferto un duro colpo a tutti i paesi ma, come scritto in Brandolini, Gambacorta, e Rosolia (2018) “L’Italia è l’unico tra i paesi maggiormente avanzati ad avere sofferto, nell’ultimo ventennio, una caduta dei redditi personali reali pro-capite”. Il reddito reale delle famiglie è, dal 2012, al disotto del livello della fine degli anni 80 e la tendenza è guidata dal calo dei redditi da lavoro, autonomo e dipendente.
Secondo, nel 1995 i dati Ocse collocavano l’Italia in cima ai paesi dell’Organizzazione per tasso di risparmio: il 16% del reddito disponibile. Tasso poi sceso all’8% nel 2008 e al 2,5% nel 2018, contro una media dell’area euro del 6% e negli Usa e in Germania rispettivamente l’8 e l’11%. Non sorprende dunque che almeno 10 milioni di adulti più poveri abbiano pochissime risorse per far fronte ad emergenze, con risparmi inferiori a 2.000€ circa.
In ultimo, l’Italia vive una grave crisi generazionale che paralizza il paese. Il tasso di disoccupazione dei giovani fra i 15 e i24anni si attesta intorno al 32,2% nel 2019, contro una media OCSE dell’11.L’abbandono precoce degli studi (14,5% dei giovani fra 18 e24anni) è tornato a crescere e la percentuale di persone fra i 20 ed i 34 anni né in formazione né al lavoro è fra le più alte dei paesi industriali (oggi 28,9% contro una media europea del 16,5%).
Anche chi ha un lavoro ha condizioni peggiori rispetto alle generazioni precedenti, ricevendo salari più̀ bassi di entrata e una progressione salariale più̀ limitata, anche a parità̀ di istruzione. Segue un contesto di progressivo peggioramento della mobilità sociale nel nostro paese dove lo status socio-economico dei genitori è sempre più determinante per delineare le opportunità di vita dei figli.
Invertire la rotta per un futuro più giusto
I numeri mostrano che l’aumento delle disuguaglianze di reddito e di povertà avvenuto in Italia negli ultimi 30 anni e a partire dall’ultima crisi sia reale. Queste disuguaglianze saranno rese ancora più eclatanti dall’emergenza Covid-19 che stiamo vivendo. Le politiche pubbliche non possono non cogliere l’urgenza di invertire questa rotta per favorire la mobilità sociale e garantire un pieno sviluppo delle libertà sostanziali e delle opportunità per tutti gli Italiani e le italiane.