Quanto puzza di oscurantismo (così, per esser chiari dalla prima riga) la decisione della giunta regionale dell’Umbria di eliminare la possibilità per le donne di abortire farmacologicamente in day hospital, come previsto da una delibera della precedente giunta. Ora si potrà abortire con la Ru486, il medicinale che dà la possibilità di porre fine alla gravidanza (nel pieno rispetto della legge 194), solo con un ricovero in ospedale di tre giorni. In molti hanno fatto notare che la decisione è quanto mai intempestiva visto che in questo momento si sta cercando di ridurre in ogni modo la pressione sugli ospedali per via dell’emergenza Covid.
Nessuno stupore, perché al di là delle dichiarazioni della presidente leghista della Regione Donatella Tesei (un provvedimento preso “a tutela della salute delle donne”) il fine ultimo è chiaro: disincentivare l’aborto con ogni scorciatoia possibile, in una lenta e costante erosione del diritto di autodeterminarsi. Il numero dei medici che si dichiarano obiettori di coscienza (il 68,4% tra i ginecologi, il 45,6% tra gli anestesisti) rende di fatto inapplicabile la legge 194 in diverse regioni: in Molise la percentuale di ginecologi obiettori è del 96,4%, in Basilicata arriva all’88%, in Sicilia all’83,2%, nella provincia autonoma di Bolzano a 85,2%.
Il tema è scivoloso e non solo per questioni etiche legate alla professione medica, ma la scelta libera di ogni singolo operatore sanitario incide sull’effettiva applicabilità della legge che all’articolo 9 prevede espressamente l’obbligo degli enti ospedalieri di garantire la possibilità di interrompere la gravidanza, a prescindere dalle obiezioni di coscienza. Il diritto esiste sulla carta, ma esercitarlo è sempre più difficile.
Nel 2019 il ministero della Salute ha pubblicato un report sull’attuazione della legge 194: gli aborti sono in costante diminuzione, si sono ridotti del 38,4%: sono stati oltre 131mila nel 2006 e poco meno di 81mila nel 2017. Quindi non c’è nessuna emergenza e si tratta di parificare sul territorio nazionale l’accesso a un servizio garantito dallo Stato. Per inciso: più volte il Consiglio d’Europa ha criticato l’Italia per le difficoltà che le donne incontrano (a quarant’anni e passa dall’entrata in vigore della norma!) quando decidono di abortire legalmente.
Qualche anno fa, in un’intervista a questo giornale, Silvia Vegetti Finzi, commentando i dati su aborti e medici obiettori, disse: “C’è un lento, ma inesorabile riassorbimento e svuotamento dei diritti a opera di quelle che un tempo chiamavamo ‘forze reazionarie’”. Continua a essere inspiegabilmente vero: una settimana fa sulla pagina Facebook di una di queste benemerite associazioni suppostamente pro-vita sono comparse le immagini delle ecografie di due feti, con una scritta: “Quale dei due è stato concepito da uno stupro?”. Sottotitolo: “Non possiamo neanche immaginare la profondissima e ingiusta ferita inferta da uno stupro, e lotteremo accanto alle donne perché questa barbarie sia punita sempre più severamente. Ma tuo figlio non ha nessuna colpa, eliminarlo non cancellerà la ferita. Anzi, con lui tornerai a splendere!”. Non c’è nemmeno bisogno di commentare.
Vale però la pena di ricordare che la 194 non obbliga nessuna ad abortire, le consente di scegliere. Chi vuole cancellare la legge invece vuole imporre la propria visione del mondo a discapito della salute delle donne: prima della 194 le donne morivano avvelenandosi con il decotto di prezzemolo o tra le mani di chirurghi improvvisati. Contro questo oscurantismo colpevolizzante ai danni delle donne (“abortirai con dolore” sembra essere il sottotesto, come se già non fosse una scelta di per sé atroce) bisogna continuare a battersi: guai a distrarsi.