In Gran Bretagna, nella prima settimana di lockdown, si è registrato un incremento del 150% delle visite sul sito della National Domestic Abuse Helpline, la linea gratuita che supporta le donne vittime di violenza; nello stesso periodo, le richieste di aiuto al telefono sono aumentate del 25%. Nel mese di marzo, la polizia di Seattle ha ricevuto il 21% di denunce di maltrattamenti in più. In Spagna, il ministero delle Pari opportunità ha registrato un incremento del 270% delle consultazioni sul canale antiviolenza creato su Whatsapp. In Italia le telefonate sono diminuite del 25%, mentre sono cresciuti sms e e-mail disperati.
L’isolamento non è stato uguale per tutti, nei centosessantadue Paesi in cui è stato istituito. A giudicare dal rapporto Onu su “Donne e giustizia durante l’epidemia di Covid”, per moltissime donne – 2,93 miliardi quelle costrette a rimanere a casa – il lockdown ha significato anche dover subire le violenze del proprio partner senza poter chiedere aiuto. Impossibile uscire, impossibile chiudersi in bagno e chiamare la polizia, impossibile denunciare. Una prigione con il torturatore dentro. È troppo presto, sostiene lo United Nation Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women (UN Women), per stilare un bilancio realistico di quanto accaduto, ma alcune considerazioni si possono già fare sulla base dei report pervenuti. Come si può affermare con certezza che le vittime di violenza non hanno avuto facile accesso alle cure – per l’isolamento degli ospedali e dei pronto soccorso – così come alle case rifugio, piene, difficili da raggiungere o temporaneamente trasformate in generici centri di salute.
Prima della pandemia, si pensava che nel 2020 si potesse finalmente verificare un’accelerazione dell’uguaglianza di genere, 25 anni dopo l’adozione della Dichiarazione di Pechino e vent’anni dopo la risoluzione Onu su donne, pace e sicurezza. Il Covid-19 ha interrotto bruscamente questo processo, ricadendo sui temi della violenza, delle discriminazioni, delle legislazioni avverse alle donne e del mondo del lavoro. Per capire quanto il problema fosse già grave, basti ragionare su una stima: nel 2018, oltre un miliardo di donne non avrebbe potuto avere accesso alla protezione legale in caso di violenza da parte del marito o del partner (fonte Banca Mondiale). Le pratiche discriminatorie nel matrimonio e nel diritto di famiglia, le legislazioni punitive e le barriere legali costituiscono ancora il principale ostacolo all’accesso alla giustizia, in particolare nelle 36 aree del mondo che sono teatro di conflitti. Per non parlare del gap tecnologico: cosa sarà accaduto ai 546 milioni di donne (stima 2017) che non hanno a disposizione neanche un telefono cellulare?
Per fortuna, registra l’Onu, alcune Nazioni hanno compreso per tempo quali rischi stavano correndo le donne. In Cina i social media sono stati disseminati di informazioni e soluzioni per le vittime; la polizia britannica ha diffuso una app gratuita, “Bright Sky” che, oltre a offrire aiuto immediato, consente di documentare giorno per giorno gli abusi attraverso testi, audio, video o foto, ed è stato chiesto ai rider che si occupano delle consegne a domicilio di segnalare eventuali situazioni border line; a Madrid le donne possono inviare messaggi in una chat che usa il Gps per localizzarle; in Italia, la polizia ha adattato la app “YouPol” – inizialmente destinata agli atti di bullismo – affinché le vittime potessero denunciare in tutta sicurezza e la maggior parte delle associazioni antiviolenza ha aperto linee telefoniche di emergenza o chiamate Skype. In Francia, dove si stima un aumento di almeno un terzo delle violenze domestiche, è stato istituito un servizio di sms per persone con problemi di udito che riceve 170 messaggi di testo al giorno. Alle Canarie, una donna che subisce maltrattamenti o abusi può recarsi in una farmacia e chiedere una “Mascarilla 19”: il farmacista prende nota del nome, dell’indirizzo e del numero di telefono e passa la segnalazione alle forze dell’ordine, che intervengono anche prima che la vittima torni a casa. Una sperimentazione positiva che è stata adottata anche altrove.
In molti Paesi è intervenuta pure la giustizia: laddove i Tribunali si sono fermati per il Covid, è stato consentito l’invio di segnalazioni e denunce via mail e sono stati prorogati i provvedimenti di protezione che sarebbero scaduti nei prossimi mesi.
Non basta, ovviamente. Le Nazioni Unite chiedono allora ai singoli Stati un maggiore impegno, a partire dall’incremento delle risorse destinate alle case-rifugio e alla consulenza psicologica. Così come viene ricordato alle forze dell’ordine di far passare un messaggio univoco: nessun abuso deve rimanere impunito. Se si considera che il costo della violenza contro le donne viene stimato in 1,5 trilioni di dollari – e che la pandemia non può che aver accresciuto questa cifra – se proprio non lo si vuole fare per le vittime, lo si faccia almeno per il Pil.