Ieri egiziani, oggi turchi. In una settimana l’Italia riesce a vendere fregate agli egiziani, preludio a una sinergia ben più vasta nell’industria bellica e poi a ergersi mediatore dei turchi, nemici giurati del regime del Cairo, per dipanare la contesa sui confini marittimi davanti alle coste di Cipro. Questa è la politica estera italiana, per alcuni ambigua, per altri scaltra, per la Farnesina multilaterale, che da sempre viene perpetuata e che Luigi Di Maio, il ministro degli Esteri, ha rinnovato con il viaggio di Ankara e il colloquio con l’omologo Mevlut Cavusoglu.
Quando in ottobre il generale Al Sisi si è rivolto agli italiani per ammodernare la flotta navale e i mezzi aeronautici con una decina di miliardi di euro, il governo di Roma, assieme all’azienda statale Fincantieri, ha riflettuto sulle conseguenze geopolitiche, più che sulla collaborazione giudiziaria per stanare gli assassini del ricercatore universitario Giulio Regeni. È la politica, spesso tra i comodi scranni di opposizione, che ha sempre confuso i piani e che oggi, imbarazzata, cerca di confondere la pubblica opinione e dissociarsi da se stessa. Come ha ricostruito il Fatto consultando fonti governative, diplomatiche e aziendali, in ottobre Fincantieri viene sollecitata da Palazzo Chigi a cedere agli egiziani la coppia di Fremm, in origine prodotte per la Marina.
Le prime valutazioni riguardano la Nato e la Libia. La Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi sono navi studiate per una forza armata che fa parte dell’alleanza atlantica e senza prendere precauzioni, cioè senza una profonda conversione, non si possono dirottare al Cairo. Per tale ragione Fincantieri deve coinvolgere lo Stato maggiore della Difesa e il ministero guidato da Lorenzo Guerini. Lo Stato maggiore indica a Fincantieri quali segreti tecnologici occultare e dove ripulire le fregate. Il dem Guerini, un ministro che ha cordiali e costanti rapporti con gli americani, completa l’operazione preliminare e sospende il ritiro dal servizio di due navi e ne ordina altre due.
Capitolo libico. I turchi sono tornati a Tripoli, carichi di munizioni e di mercenari siriani, per rianimare il sofferente governo di Serraj, riconosciuto dalla comunità internazionale e appoggiato dall’Europa con le ambivalenze francesi, ma di fatto tenuto in vita da Ankara e dai qatarini. Il Cairo è sul fronte opposto, è il corridoio terrestre per rifornire le truppe di Haftar che da un anno, calate da Bengasi in Cirenaica, bombardano la capitale per rovesciare Serraj. E l’avanzata africana della Turchia di Erdogan, dal corno d’Africa al castello di Tripoli, col suo corollario di fratellanza musulmana e di cosiddetto islam politico, per l’Egitto è una minaccia capitale, come per gli emiratini che non hanno smesso mai di armare il maresciallo della Cirenaica. In questo scenario di tensioni multiple, economiche e pure religiose, l’Italia fa la scelta che fa più spesso: non sceglie. Per esempio non si aggrega a Egitto, Grecia, Francia, Israele contro le trivellazioni nel mare cipriota di Ankara, agevolate dal patto con Serraj.
Risolta la questione Nato, Roma tenta di lasciare la commessa bellica a un livello commerciale e industriale (Fincantieri si prepara a costruire i pattugliatori d’altura richiesti negli stabilimenti egiziani), anche se il Cairo affila le armi per fronteggiare i turchi non la sabbia del Sahara. Organizzata la cornice geopolitica, in febbraio Fincantieri domanda a Uama, l’Unità del ministero degli Esteri che autorizza le esportazioni di materiale militare, se può aprire le trattative con l’Egitto. Soltanto durante il negoziato viene informata la Marina italiana, che non viene soddisfatta dalle rassicurazioni del ministero della Difesa. Con i suoi più alti in grado e con lettere piccate al gabinetto del ministro, la Marina protesta con la Difesa perché chiamata ad adempiere a missioni internazionali con navi vecchie. La procedura, però, va avanti. Uama autorizza la chiusura dell’accordo dopo il consiglio dei ministri dell’11 giugno. E mentre Fincantieri si prepara a firmare il contratto con i militari egiziani e Di Maio va a visitare e rabbonire Ankara (il primo ministro europeo accolto in Turchia dopo il blocco per la pandemia), i partiti litigano per onorare la memoria di Regeni. Era il punto finito in fondo al copione.