Poco più di cento anni fa, Caravaggio – senza alcun dubbio l’artista seicentesco iconograficamente immortale – era uno “dei meno conosciuti dell’arte italiana”. Ci si domanda cosa sarebbe accaduto se nel 1911 il piemontese Roberto Longhi non si fosse laureato, con il coraggio di una scelta pionieristica, con una tesi su Michelangelo Merisi detto Caravaggio. E ancor di più se lo stesso Longhi, grande storico dell’arte e collezionista, non avesse ideato e curato, presso Palazzo Reale, a Milano, nell’aprile del 1951, la Mostra del Caravaggio e dei Caravaggeschi, che metteva in fila per la prima volta la più straordinaria selezione di capolavori di quella rivoluzione seicentesca ai tempi davvero sconosciuta.
A cinquant’anni dalla sua scomparsa, l’eccezionalità della mostra Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi, curata da Maria Cristina Bandera, mette in evidenza due aspetti paralleli: il suo indubbio e ponderato intuito e l’importanza di essere collezionista delle sue stesse scelte critiche. La sua arguzia e la passione si dipanano sorprendenti nel percorso, a partire dall’unico Caravaggio che riuscì ad acquistare nel 1928: il Ragazzo morso da un ramarro del 1597, sorprendente per i tratti popolani del ragazzo e l’inquietudine del gesto nervoso dinanzi a un’innocua natura morta. Per spiegare la contemporaneità di Caravaggio, Longhi si avvalse anche del cinema per evidenziare come egli sia stato “l’inventore dei più meditati fotogrammi: da quello più lucido e aperto, a quello lacerato e drammatico” e che “portate in un film le sue immagini sembrano girate dinnanzi a noi su corpi veri, e non dipinti”. La chiave consiste nel leggere un pittore che ha cercato di essere naturale e comprensibile: “Umano più che umanistico; in una parola, popolare”.
Nella mostra, molto ben allestita, l’occasione unica di poter ammirare tutti gli altri capolavori collezionati di Longhi, solitamente raccolti nella dimora fiorentina, oggi sede della sua Fondazione. Oltre a Caravaggio, i suoi amati “caravaggeschi”: da tre meravigliosi Carlo Saraceni ai ben cinque De Ribera, da Battistello a Valentin a Battista Del Moro e a Morazzone. E ancora artisti fiamminghi e olandesi, che hanno assimilato Caravaggio, come Gerrit van Honthorst, Dirck van Baburen e Matthias Stom. Nonostante la predilezione di Longhi per i tanti discepoli egli non li sovrapporrà mai del tutto al Merisi: “Meglio dire ‘cerchia’ che scuola; dato che il Caravaggio suggerì un atteggiamento, provocò un consenso in altri spiriti liberi, non definì una poetica di regola fissa, e insomma, come non aveva avuto maestri, non ebbe scolari”.
Il tempo di Caravaggio Musei Capitolini Roma, fino al 13.09