Sembra un participio presente ma è un infinito. Parlo di “adolescente”: dovrebbe indicare l’ultima fase dell’età evolutiva ma, spesso, finisce con l’identificare una stagione senza fine. Tema estremamente attuale. Forse perché i maître à penser latitano, i genitori arrancano, la scuola è stata messa all’angolo, i social impazzano e il mondo sembra incapace di trovare un senso al suo vorticoso orbitare. Ci vengono incontro tre interessanti novità editoriali: Mio figlio è normale? Capire gli adolescenti, senza che loro debbano capire noi (Stefania Andreoli, BUR), Falli parlare: come affrontare i silenzi degli adolescenti (Matteo Rampin, Mondadori) e Figli che tacciono, gesti che parlano: come capire ciò che gli adolescenti dicono senza parole (Susana Fuster, Salani). Psicologa, terapeuta e analista, la Andreoli è, tra l’altro, Giudice Onorario per il Tribunale dei minorenni di Milano; Rampin – psichiatra e psicoterapeuta – ha all’attivo più di trenta libri, tradotti in diverse lingue; la Fuster – terapeuta, esperta di comportamento non verbale – insegna in varie università. Autori autorevoli, dunque. Qua e là, è vero, può sembrare di trovarsi di fronte a riflessioni da manuali tipo Teens For Dummies, dove tutto si riduce al semplice buon senso. Tentazione da respingere. Non solo perché il buon senso è merce sempre più rara – soprattutto tra gli adulti – ma anche per la ragione opposta: non sempre rappresenta l’opzione migliore. Fondamentale, dunque, capire quando seguirlo e quando fuggirlo.
Il testo della Andreoli sembra offrire uno sguardo più alto e più ampio. “Adolescere”, spiega, deriva da “alere”: nutrire. L’adolescente, dunque, è “colui che si sta ancora nutrendo”; l’adulto, “colui che si è già nutrito”. Un invito a riflettere sul fatto che dovremmo favorire questo nutrirsi. E, soprattutto, evitare di mangiarci tutto. Se gli adolescenti di oggi crescono più lentamente, non sarà perché “gli adulti lasciano loro meno risorse”? Il fatto poi che si parli di età dello tsunami, la dice lunga su cosa ragazzi e genitori (che sopravvalutano la loro esperienza personale) sono chiamati a vivere. Ma se l’“adolescenza scandalosa e arrogante” sta lasciando il posto ad un’“adolescenza latente”, “larvata, silente, addomesticata”, davanti a certi segnali è bene drizzare le orecchie. Se, ad esempio, entro i 15 anni non cambiano modo di presentarsi al mondo, se l’attenzione per la salute del corpo è eccessiva, se il corpo diventa “campo di battaglia” o, al contrario, “campagna elettorale dell’infanzia”. Niente paura delle emozioni. Semmai della loro “assenza apparente” o del fatto che vengano cercate “in modo spasmodico, malsano, azzardato”. Un adolescente è normale se è adolescente: se il rapporto con lui è ottimo, o ce la sta facendo sotto il naso oppure dobbiamo preoccuparci. Che fare? Fidarsi, mettersi da parte, cercando di evolvere insieme a loro, senza annullare conflitto e dissenso, ma cercando di (ri)acquistare più equilibrio possibile.
Senza “improvvisarci psicologi”, ammonisce Matteo Rampin, che segnala ben dodici miti da sfatare. Tra questi: il “dialogo non è positivo a prescindere” e “non garantisce nulla”, e “il silenzio non è sempre da condannare”; rispetto sì, confidenza no: “l’amicizia non è prevista”. La vita non è un “giardino di delizie”, la felicità non è un diritto, “l’autostima non è la cosa più importante al mondo”, e “la libertà non ha nulla a che fare con l’anarchia”. Tra le soluzioni inefficaci, Rampin segnala metodi polizieschi e spionaggio. Importante non mentire, non fare i furbi, non prendere in giro i ragazzi, non umiliare, minacciare, mercanteggiare e non fare i moralisti. Che fare? Costruire il momento opportuno, tacitare il proprio ego e ascoltare, facendo parlare i ragazzi ma non per carpire informazioni; rappresentare ragioni sensate e comprensibili, evitando slogan e sentenze affrettate. Ma soprattutto, amare. Rampin fa suo il Seneca di “Se vuoi essere amato, ama”: “la chiave di ogni situazione di salute fisica e mentale è amare”.
Susana Fuster – che sottolinea l’importanza del “comportamento non verbale”, soprattutto in fatto di emozioni – avverte che interpretare quel linguaggio non significa “indovinare quello che pensano gli altri”. I gesti non hanno un solo significato: “sempre meglio chiedere”. Gli adolescenti sono “Ferrari con i cavi dei freni non del tutto collegati” e le emozioni possono essere così intense “da portare a comportamenti immaturi o a rischio”.
È importante osservare: fare attenzione ai cambiamenti nei comportamenti; controllare espressioni facciali, gesti, pose e posture, uso di spazio e distanze, contatto fisico, aspetto, voce e sguardo. Cinque, gli indicatori per scoprire quando un adolescente mente: sguardo fisso, microespressioni facciali, scarsa gesticolazione, frequenza del battito delle palpebre, voce che si fa più acuta. Consigliate le “tecniche di interrogatorio casalingo”: cercare il momento giusto, entrare in empatia con conversazioni neutre, mantenere posture non difensive, osservare il modo in cui il ragazzo esprime e, infine, chiedergli di ripetere la storia ma dalla fine all’inizio. Andreoli e Rampin sarebbero d’accordo? Probabilmente no. Evidentemente, però, la Fuster ritiene che, davanti a uno tsunami, valga la pena assumersi qualche rischio in più.