Le politiche ambientali richiedono coerenza. A nulla serve introdurre buone pratiche “verdi”, come l’Ecobonus per la riqualificazione energetica degli edifici, se poi si lasciano indisturbati i processi che ingoiano risorse non rinnovabili come il suolo e e producono rifiuti ed emissioni che danneggiano il clima. Le grandi opere trasportistiche come autostrade, aeroporti e ferrovie ad alta velocità sono tra questi. Infrastrutture come il Tav Torino-Lione, sono sostenute caparbiamente dai governi interessati e dalla Commissione Trasporti UE come opere ecologiche, in realtà non lo sono affatto. Non tutto il traffico ferroviario è infatti a basse emissioni, soprattutto quando si devono realizzare grandi tunnel con mega cantieri della durata di oltre un decennio, e qui parliamo di una doppia canna da 57 km. Lo abbiamo scritto anche sul Fatto più volte, l’ultima l’11 maggio scorso.
Questa preoccupazione è ora finalmente emersa in modo inequivocabile anche nella relazione speciale numero 10 sulle grandi infrastrutture di trasporto pubblicata nientemeno che dalla Corte dei Conti Europea. A pagina 33, paragrafo 38 si legge che “la costruzione di nuove grandi infrastrutture di trasporto è una fonte rilevante di emissioni di CO2 e vi è un forte rischio che gli effetti positivi siano sovrastimati. Nel 2012 il gestore dell’infrastruttura francese ha stimato che la costruzione del collegamento Lione-Torino avrebbe generato 10 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 (pari a una città italiana di un milione e mezzo di abitanti in un anno, aggiungo io). Gli esperti consultati dalla Corte hanno concluso che le emissioni di CO2 verranno compensate solo 25 anni dopo l’entrata in servizio dell’infrastruttura (quindi dopo il 2055, mia precisazione), ma se i livelli di traffico raggiungono solo la metà del previsto, occorreranno 50 anni dall’entrata in servizio prima che le emissioni di CO2 prodotte dalla costruzione siano compensate (cioè nel 2080, ndr)”. Il che è del tutto incompatibile con il Green Deal europeo e l’esigenza di azzerare le emissioni al massimo entro il 2050.
Come volevasi dimostrare sarebbe una cura peggiore del male, un’opera che prima sporca di sicuro e poi promette – forse – di pulire, e che se proprio si vuole fare, contro tutte le evidenze di inutilità funzionale ed economica, bisognerebbe almeno avere il pudore di derubricare dall’elenco degli interventi a favore del clima e dell’ambiente. Per questo motivo andrebbe una buona volta fermata sul nascere, soffocata finché è ancora piccola e incompleta, in modo che non sprechi altro denaro pubblico, che non infligga altre ferite alle nostre Alpi e che non emetta i 10 milioni di tonnellate di CO2 preventivati, che come i costi potrebbero facilmente lievitare.
Ancora una volta, supportati dalle evidenze scientifiche e ora anche da un documento ufficiale afferente allo stesso apparato europeo che da un lato promette inediti sforzi per contrastare i cambiamenti climatici e dall’altro finanzia le peggiori opere che li provocano, chiedo con determinazione al ministro dell’Ambiente Costa – già a conoscenza del problema – e al suo analogo francese, Élisabeth Borne, insieme al commissario europeo per il clima Frans Timmermans di pronunciarsi sulla coerenza ecologica di questa scelta, che appare invero in piena contraddizione. E se la valutazione della Corte dei Conti è corretta, che si fermi immediatamente il megacantiere climaticida, destinando i miliardi di euro dei cittadini italiani, francesi ed europei ad altre azioni ambientalmente più efficaci che non siano solo colorate di verde a fini di marketing. I giovani di oggi vi ringrazieranno per la lungimiranza, o se costretti a vivere in un pianeta ostile vi malediranno in conseguenza delle vostre scelte, e questo articolo vuole rimanere testimonianza esplicita che non si potrà dire “non lo sapevamo”.